Cosa unisce due sportivi come Lazzaro Anticoli e Manlio Gelsomini? In prima battuta viene da rispondere la passione per lo sport. Il pugilato, per Lazzaro Anticoli detto Bucefalo, e l’atletica leggera per Manlio Gelsomini. Giusta risposta, ma non basta, c’è ben altro oltre lo sport. Qualcosa di storicamente orribile che si chiama Fosse Ardeatine. Visitando il Mausoleo dove si trovano le tombe dei martiri della guerra di liberazione, capita di leggere i nomi dei due sportivi, in file diverse con numeri diversi, legati tra loro da una maledetta sorte che tutti conosciamo perfettamente attraverso la storia. Nell’articolo di maggio ho raccontato la vita del pugile Bucefalo, tra sport e famiglia, tra lavoro e combattimenti sul ring. Un campione in erba che aveva tutte le possibilità di diventare ancora di più un vero rappresentante dello sport italiano, un destino che sembrava aperto e che invece, con le leggi razziali del ’38, diventò dramma: Lazzaro era ebreo.
Questa volta parliamo di un altro grande sportivo
Manlio Gelsomini, classe 1907, era una freccia sin da piccolo con un talento innato per la velocità, abitava a poca distanza dal Duce e sin dal 1927 era un tesserato nella sezione di atletica leggera, specialità cento metri, della neo A.S.Roma. Questa precoce carriera sportiva è dovuta grazie alla tenacia e alla costanza di sua madre che gli impone una rigorosa educazione orientata all’attività fisica. Giovanissimo vince i campionati nazionale juniores di Atletica Leggera partecipando ai mondiali universitari di Francia.
Dalla corsa al rugby
Manlio Gelsomini scala le classifiche fino a farsi notare aggiudicandosi diverse competizioni sportive che gli permettono di indossare la maglia della nazionale. La sua grande volontà di diventare campione gli permette di dedicarsi anche alla sezione dei 200 metri. Dopo essersi confermato campione regionale, proprio nella specialità dei 200 metri, nel 1931 cambia casacca, non più socio “giallorosso”, ma atleta iscritto nelle file della S.S. Lazio, non più come atleta velocista, ma come ala nella squadra di rugby. Altra società, altri colori, altro sport. Grazie alla sua velocità d’azione sulla fascia, Manlio Gelsomini fa grande i quindici rugbisti biancocelesti e si distingue per il suo attaccamento alla maglia.
Una vita interrotta
Non tutto va come dovrebbe andare. La Federazione di Atletica Leggera lo diffida nel proseguire a giocare con la palla ovale per il timore di un eventuale infortunio. Per questa insolita ragione Manlio smette con lo sport, non più giocatore di rugby, non più atleta centometrista. La sua vita cambia e si dedica completamente agli studi, in modo particolare Medicina e Chirurgia, fino a ottenere la giusta riconoscenza, la laurea (15 luglio 1932).
Altra vita, altra corsa
Dapprima medico al Policlinico Umberto I di Roma, in seguito Manlio apre uno studio personale nei pressi del quartiere di San Lorenzo diventando il medico di tutta la gente. Il lavoro sarà la causa di distacco definitivo dallo sport, la mattina al Policlinico, il pomeriggio a studio, la sera a visitare i pazienti, una giornata tipo non permette di affrontare allenamenti. E pensare che nel periodo di maggiore impegno sportivo era un assiduo frequentatore dello stadio della Farnesina, ogni giorno, scatti, allunghi e ripetute, indossando un completo completamente bianco stabilendo un tempo di 11 secondi netti sui 100 metri.
Il resto della sua breve vita è tutto concentrato in un percorso diverso di quello degli anelli degli stadi.
La politica sarà la parte finale che lo porterà ad essere uno dei martiri delle Fosse Ardeatine. Cambiare idea politica segna la sua sorte, il suo nome scompare dalle cronache sportive, ma anche dall’elenco dei medici chirurghi. Sarà una spiata a consegnarlo ai nazisti da parte di un certo Mario Pistolini, amico dei partigiani ma al soldo dei tedeschi. Rinchiuso per una settantina di giorni nel carcere di via Tasso, come Bucefalo anche Manlio Gelsomini sarà tra i 335 i martiri italiani delle Fosse Ardeatine.
Memoria di pietra
Girando per Roma capita di ritrovarsi davanti a ben quattro lapidi in memoria di Manlio Gelsomini, il più veloce di Roma: via Venezia 18, Policlinico Umberto I al piano primo vicino la biblioteca, piazza dell’Immacolata 27, via Re Tancredi.
Di Manlio Gelsomini rimane un’unica foto da atleta scattata sui blocchi di partenza dello stadio della Farnesina, la foto di un’atleta pronto a scattare per correre la sua vita. Un atleta al quale il traguardo è stato negato. Ricordarlo oggi è il minimo che possiamo ancora fare per lui.