Dice che era un giorno di tempesta, uno di quei giorni che se credi in Dio o preghi o bestemmi.
Dice che dopo, una volta passato il giorno e anche la tempesta, di quello che c’era prima era rimasto poco o nulla. Qualcuno allora, mentre continua a impastare preghiere e bestemmie, si guarda le mani perché sono l’unica cosa che gli è rimasta. Qualcun altro si mette in cammino perché dove c’è tutto da fare, gambe e braccia non bastano mai.
Il lago d’Iseo è incastonato tra montagne che lo guardano. Ancora oggi, se ti lasci andare e ti prendi il tempo per osservarne la bellezza in silenzio, percepisci una natura incombente e capisci che con lei puoi avere solo un rapporto impari e subalterno. È qui che in un giorno del 1842 la tempesta passa, gonfia cielo e lago, squassa terra, uomini e barche che, però, lì non sono solo barche. Lì, sul lago, le barche sono vita, pesca benedetta, pranzo, cena e famiglia.
Pietro Riva non vive lì, il suo lago è quello di Como, ma lui è un maestro d’ascia, conosce il segreto del legno e dell’acqua e va dove c’è lavoro. È cosi che arriva a Sarnico. Non andrà più via.
È così che da una tempesta nasce una storia di bellezza.
La bellezza è un pensiero che prende forma
Pietro Riva ha braccia, mani e testa, porta il legno a nuova vita, gli fa prendere forma, lo trasforma in barche. Questo è quello che sa fare e a Sarnico capisce che lì sarà la sua vita. Quelli che diventeranno i Cantieri Riva nascono così, con mani abili e uno sguardo capace di puntare dritto al futuro. Pietro Riva ha braccia, mani, testa e anche cuore, perché senza cuore puoi forse fare di conto, ma non puoi creare con le mani. Probabilmente Pietro non immagina che quel futuro arriverà più avanti ancora dei figli e dei figli dei suoi figli. Non lo immagina, ma sono sicuro che da qualche parte dell’anima ne abbia accarezzato il pensiero.
Costruisce Pietro. Costruisce e affina la tecnica, le barche che escono dalle sue mani sono robuste e affidabili. Ci vorrà ancora del tempo, ma diventeranno anche le più belle.
La bellezza è un pensiero ardito
Complice una commessa ricevuta da un cliente, Ernesto, figlio che calca le orme del padre, ha il coraggio dell’innovazione e fa uno scatto in avanti: è il tempo del vapore. Non più solo piccolo cabotaggio, ma battelli per trasportare velocemente merci e persone. Evasa la commessa, ne costruisce uno per sé da dedicare alle gite turistiche sul lago. Siamo nei primi anni ottanta dell’800 e quando Ernesto decide di affiancare all’offerta di gita sul lago anche quella del ristoro nella mensa del cantiere opportunamente trasformata in trattoria, non sa di essere un pioniere del turismo esperienziale. La gestione della trattoria è ovviamente familiare, seguita in prima persona dalla moglie, Carolina Malighetti, da cui avrà sei figli. L’impresa di famiglia funziona, i figli crescono, ma la vita bussa forte alla porta nel 1907 quando un incidente in cantiere si porta via Ernesto. Il tempo sembra fermarsi, ma è solo sospeso.
Francesco, il più grande, prende in mano l’attività e con lui si mettono in gioco anche Angelo, Serafino e Mauro, più piccoli, ma già presenti. Le cose vanno avanti fino a quando, ancora una volta, la vita bussa forte. Il destino questa volta si chiama Grande Guerra; Angelo e Mauro partono e non ritornano. Il destino si chiama anche “spagnola”, l’influenza che a fine guerra uccide più di pallottole, gas e shrapnel; è lei che si prende Francesco.
A fare i conti con il destino adesso è Serafino.
La bellezza è un pensiero veloce
Il vapore aveva messo in moto i battelli e dato il via a una nuova visione d’impresa, ma il nuovo che avanza si chiama motore a scoppio. A inizio novecento la velocità è suggestione, categoria ardita, dimensione esistenziale. Di lì a pochi anni il Futurismo di Marinetti la farà diventare unità di misura estetica della prima grande contaminazione culturale del secolo. Forse, ancora oggi, la più grande.
La velocità è audacia, fascinazione contagiosa, per tanti ancora spaventosa. Qualcuno, incosciente o coraggioso che sia, la prende invece per mano e inizia a praticarla sfidando strade malmesse, acque non sempre calme e persino, tra poco, il cielo.
Prima di chiudersi, l’ottocento fa in tempo a battezzare la motonautica, sport estremo che nasce in Francia, che trova sulla Manica uno specchio d’acqua ideale, ma che presto animerà acque interne e costiere in tutta Europa e negli Stati Uniti. A Sarnico non rimangono con le mani in mano.
Serafino aveva da subito avuto la suggestione della velocità. Il primo maggio 1912, in una gara, spinge uno scafo Riva a 24 km/h, ma non sta segnando un tempo: sta segnando un destino.
Poi ci pensa la guerra, quella Grande. È lei che tiranneggia tempo, destino e sogni. Quando tutto finisce, a ferite ancora aperte, Serafino si trova da solo a decidere come prendere in mano il futuro.
Non ha dubbi: per i Cantieri Riva il futuro si chiama velocità.
La bellezza è una passione di corsa
Serafino non solo trasforma in impresa la sua passione orientando la produzione Riva verso motoscafi da competizione, ma diventa velocità lui stesso. È lui, insieme ad altri di fegato come Guido Paglia, Carillo Pesenti Pigna e Giuseppe Guerini, che entra nei barchini da gara, s’inginocchia come fosse davanti un altare per prendere la posizione di guida e sfidare tempo, equilibrio, correnti e anche sorte.
Siamo nella seconda metà degli anni ‘20, Serafino e gli scafi fuoribordo Riva gareggiano e iniziano a vincere in Italia e all’estero. Poi arriva il Po.
Il 6 giugno 1929 l’alba non è ancora arrivata quando ventiquattro esseri mitologici, metà scafo e metà uomini, fremono in attesa del via. È la prima edizione della Pavia-Venezia che, con quei 431 chilometri sul Po, non è una gara, ma un monumento della motonautica. Tra i ventiquattro c’è anche Serafino Riva, non poteva essere diversamente. Nel 1929 non va bene, nel 1930 neanche, ma nel 1931 e nel 1932 Serafino, prima in equipaggio con Guerrini e poi con Luigi Calvi, è primo nella classe F, quella dei fuoribordo più potenti.
I Cantieri Riva sono ormai il cuore pulsante della motonautica, i racer di Sarnico sono i più ambiti – uno per tutti il mitico Brun ella – tutti i grandi campioni passano per Sarnico, vittorie e successi si susseguono ininterrottamente sino alla fine degli anni ’30.
Mentre uomini e scafi Riva siglano sedici record mondiali, a Sarnico c’è un ragazzino che diventa grande, un ragazzino che osserva tutto, uomini, motori e scafi. Osserva e mette da parte, osserva e inizia farsi le sue idee fino a quando, ancora una volta, la guerra sospende il tempo e fa diventare il futuro una scommessa.
Il ragazzino si chiama Carlo.
La bellezza è una passione infinita
A fine guerra è tutto da ricostruire, città, fabbriche e uomini. A Sarnico, come dappertutto. Carlo ha ormai 25 anni, tanta voglia di fare e idee chiare. Unico problema, le sue idee non sono le stesse del padre. Serafino guarda al passato, alle glorie della motonautica. Carlo guarda al futuro, proprio come hanno fatto tutti i Riva quando è stato il loro momento di prendere le redini dell’azienda. Ci vorrà qualche anno, la convivenza non sarà facile, il confronto spesso si accenderà. Ai racer che Serafino continua a voler produrre, nel 1946 si affianca un motoscafo da turismo, il Corsaro. È un primo passo, ma solo quando Carlo inizierà a guidare l’azienda, nel 1950, la strada sarà chiara: la motonautica è messa da parte, mentre il Tritone e l’Ariston segnano l’inizio del nuovo corso.
Carlo seppe intuire che in un’Italia tutta da rifare la bellezza avrebbe avuto sempre il suo posto e che se ci poteva essere una bellezza iconica nella nautica da turismo, il canone di questa bellezza doveva essere il loro.
Ispirati dai modelli americani, agili, veloci, sicuri, belli, i runabout Riva irrompono così sul mercato e nulla sarà più come prima. Carlo segue personalmente ogni processo di lavorazione, lo fa con la passione infinita sia per la visione d’insieme che per i dettagli. Dal disegno alla scelta dei materiali, dalla meccanica all’estetica non c’è nulla che deleghi ad altri o, peggio ancora, al caso.
Una cosa è importante da sottolineare però. Carlo non rinuncia alla velocità; anche quella sentiva profondamente sua. I record che stabilisce a Sarnico sul Tritone n.4 nel 1953 ne sono testimoni, ma c’è molto altro. Rispetto al padre, Carlo non vede la velocità separata dalla bellezza, ma piuttosto come sua quintessenza. Non è un’idea, è una filosofia. Non è un escamotage di mercato, è una comprensione del mondo. I motoscafi da turismo Riva devono essere belli e veloci perché l’una cosa si completa nell’altra.
Di questa visione, l’Ariston nel 1950 e l’Aquarama nel 1962 più che pietre miliari sono vere e proprie pietre filosofali, equilibri alchemici capaci di trafiggere il tempo, di farsene beffa, di superarlo e di entrare nel mito. Inutile dire che mentre il jet set internazionale adotta l’Aquarama come sua icona, il resto del mondo lo sogna.
La bellezza è la capacità di cambiare panorama
A fine anni sessanta la modernità in mare si chiama vetroresina, una modernità che lascia intravedere la fine del legno. Il rischio è concreto, le cose non andranno proprio così, ma in ogni caso Carlo Riva non se ne spaventa. Ancora una volta affronta il cambiamento e nel 1969 le prime barche in vetroresina firmate Riva prendono il mare.
Ogni sfida ha però il suo tempo. Stretto in un clima lavorativo di forte sindacalizzazione e che lui fatica a riconoscere come proprio, nel settembre 1969 Carlo Riva vende le sue quote alla Whittaker – proprietaria del marchio Bertram -, rimanendo però nelle cariche sociali fino al 1971.
Carlo lascia l’azienda, ma non abbandona il gusto della sfida.
L’avventura del Super Aquarama “Zoom” che nel 1972 è primo di categoria e secondo assoluto nella Londra-Montecarlo, dopo una navigazione di 4736 chilometri di cui una buona parte in mare aperto e lungo le coste atlantiche, è una storia nella storia. Carlo, pur non a bordo, ne è protagonista in prima persona ed è con questa avventura che, in qualche modo, si ricongiunge all’idea di velocità coltivata da papà Serafino.
La bellezza è un ritorno al futuro
Anno 2000. Epocale come tutti gli anni con tanti zeri. Nonostante profezie infauste e il Millennium Bag che minacciava di fermare i sistemi informatici di tutto il mondo, il mondo se la cava ancora una volta.
Nel 2000 per i Cantieri Riva il mondo cambia sul serio, però.
L’acquisizione da parte di Ferretti Group, leader mondiale della nautica di lusso, pone fine alla turbolenta stagione azionaria degli anni ’90 e ne apre un’altra che restituisce all’azienda stabilità, visione e capacità produttiva.
Negli orizzonti vasti che Riva ha iniziato a praticare dopo il 2000 la sua cifra identitaria, la bellezza è presidiata dall’energia creativa dell’Officina Italiana Design che la porta verso la modernità e nuovi orizzonti. Uno tra tutti, quello delle grandi dimensioni di yacht e superyacht, panorama a cui l’azienda aveva già guardato tra gli anni ’60 e gli anni ’80 e che oggi ritrova il futuro nei cantieri di Ancona e La Spezia, con capacità realizzative che traguardano i 90 metri dei superyachts.
Ernesto Riva, che nel 1881 accolse la sfida di costruire un battello a vapore più grande di tutti quelli costruiti con cuore e mani da papà Pietro, il maestro d’ascia da cui tutto ebbe inizio, guarda e sorride a un futuro che è il disegno di un eterno ritorno.