Corri Robot, corri

Sembrava fantascienza, invece è successo davvero: un robot ha corso (quasi) come un essere umano. Si chiama Tiangong Ultra, è alto un metro e ottanta ed è solo l’ultimo di una nuova generazione di tecno-atleti. O forse il primo.
 Giulia Colasante
Tiangong Ultra

Sono accaldati, inciampano e a volte hanno difficoltà a tagliare il traguardo finale. Non sono i corridori della domenica, quelli che “sì ma che ci vuole a correre una mezza maratona”, ma i nuovi prototipi di robo-atleti che ormai sempre di più compaiono nelle più diverse competizioni sportive. L’ultimo caso è stata la mezza maratona di Pechino Yizhuang disputatasi lo scorso 19 aprile che ha visto protagonista Tiangong Ultra, primo robot umanoide a tagliare il traguardo dopo 21 chilometri di corsa. I numeri da prendere in considerazione sono differenti: 12 mila atleti iscritti umani contro 21 robot umanoidi, disposti su due corsie diverse ma parallele, 6 i tecno-atleti che hanno tagliato il traguardo, 2 il massimo di gambe che obbligatoriamente potevano sfoggiare. 

Robot

19 aprile 2025

La partenza umana è quasi noiosa nella sua normalità: un’onda colorata che si estende a perdita d’occhio con atleti schiacciati contro le transenne in attesa del via. Questione completamente diversa è quella che si vive nella corsia accanto che, invece, rimane semi deserta mentre uno a uno i neo-corridori entrano in scena accompagnati dai loro addestratori, alcuni dei quali li operano attraverso pannelli di controllo mentre altri sembrano direzionarli con veri e propri guinzagli.  Per molti, il momento di gloria è breve: scompaiono dalla trasmissione in diretta poco dopo esser passati per il via, chi cadendo per terra e smettendo di funzionare, chi per problemi di surriscaldamento delle batterie. Fra di loro, però, spunta un ragazzone di un metro e ottanta, cromato di nero e con gambe troppo rigide per tradire una natura biologica. Si chiama Tiangong, sviluppato dal Beijing Innovation Center of Human Robotics con l’obiettivo di simulare al meglio il movimento umano, grazie ad articolazioni avanzate e un sistema di progettazione open-source che gli permette di migliorare continuamente le sue prestazioni.

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Questa è la ricetta perfetta per far conquistare a Tiangong il primo titolo mondiale nella categoria robotica di una mezza maratona, riuscendoci dopo due ore, quaranta minuti e quarantadue secondi, una caduta e tre cambi di batteria. Non male per un novellino. Così come gli atleti, anche i robot vengono in tutte le forme e dimensioni, basta che siano bipedi e non più altri di due metri. Per il resto largo alla fantasia (e a un pizzico di strategia): alcuni hanno indossato scarpe da ginnastica avvitate ai piedi, altri invece ginocchiere e caschetti per proteggere le parti più delicate della loro anatomia. Molti, invece, hanno preferito lasciare da parte dita e teste in favore della velocità, preferendo un corpo più leggero e agile.
Sia Tiangong che N2 (il secondo classificato, nato dalla cinese Noetix Robotics) si sono distinti per la loro velocità, circa 8 chilometri orari che, se paragonata alla prestazione di un atleta in buona forma fisica, può sembrare qualcosa di poco conto, ma invece rappresenta uno step importante.

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Un passo indietro

Non è la prima volta che in Cina si può assistere a partecipazioni robotiche in eventi di atletica: nel 2024, durante la Hangzhou Marathon, sono stati introdotti Go2 e B2, due assistenti robotici progettati per fornire assistenza durante la gara. Il quadrupede Go2 suonava musica e offriva consigli mentre B2 fungeva da pace-setter, aiutando gli atleti a regolare la loro velocità. Anche il fratello maggiore di Tiangong Ultra ha partecipato lo scorso anno alla stessa competizione, entrando in gara però solo per gli ultimi cento metri, comportandosi proprio come un atleta consumato: stringendo mani e mettendosi in posa per le fotografie.

mezza maratona Pechino

Ma a cosa può mai potrebbe servire un robot maratoneta?

Certo non è la prima volta che una macchina simile si interfaccia con un ambiente che poco gli si addice; ormai non stupisce più vedere un robot ballare o riuscire a fare un salto all’indietro, come più volte è riuscito a dimostrare Atlas, il più popolare fra i figli dell’americana Boston Dynamics.
Se si cerca di mantenere uno sguardo prettamente funzionale, niente di tutto questo ha intrinsecamente senso né offre un parametro soddisfacente per indicare l’utilità dei robot antropomorfi. Rompere uova, ballare e giocare a ping pong sono attività dal fascino breve, se si vuole coinvolgere il pubblico a partecipare alla rivoluzione tecnologica. Eppure sono proprio queste le esperienze che permettono alle macchine un’immersione sempre più pro-attiva nel mondo che prima o poi desidererebbero e con ogni probabilità andranno ad abitare.
Infatti, la capacità di eseguire compiti differenti in maniera completamente autonoma ricade all’interno di un lungo processo di tentativi ed errori in situazioni comicamente estranee a quelli che dovrebbero essere i loro veri terreni di gioco.

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Robot. Vivere la rivoluzione

Il processo di rivoluzione è ondivago: si alza sempre di più fino a tornare nuovamente in una situazione di stallo dove l’odore della scoperta ormai si confonde a quello della quotidianità. Ecco a cosa puntano le nuove generazioni robotiche: la capacità di confondersi all’interno di un tessuto socio-culturale che non li vorrebbe più vedere come gli odd ones out, gli strani che rischiano di friggere l’asfalto per quanto trovano faticoso correre una mezza maratona. Lo sport offre la possibilità di accorciare questa differenza, permettendo ad entrambe le parti di studiare le distanze che – per la gioia di diversi – rimangono siderali.  I loro corpi sono il frutto di un lavoro degno di Victor Frankestein e i loro movimenti -almeno per ora – non riescono a non sembrare profondamente sgraziati ma, nello sforzo di concatenare sfoghi sportivi fino a farle diventare azioni consapevoli,  forse possono davvero lasciarsi ispirare da quella perfezione umana frutto di tanto sacrificio.
Si potrebbe gridare all’ingiustizia nel vedere un atleta umano gareggiare nella stessa categoria contro un avversario robotico, eppure basta dare un’occhiata ai montaggi delle disastrose cadute dei robot unite alla fatica dei loro programmatori nel gestire 21 chilometri di corsa nel capire che, alla fine, qualcosa di simile a noi effettivamente c’è.
Inciampare è un’essenza della vita, a tutti può capitare, a tutti prima o poi capita.
Umani o robot. Umani e robot.
Qualcosa in più di un semplice futuro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Giulia Colasante si affaccia al mondo nell'ultimo anno del secolo scorso, in tempo per sentirne raccontare in diretta, abbastanza per rimanerne incuriosita. Giornalista pubblicista, laureata in Filosofia e in Scienze Cognitive della Comunicazione e dell'Azione, continua a studiare il futuro che attende lei, ma anche un po' tutti gli altri.

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