Takeichi Nishi. Dalle Olimpiadi a Iwo Jima

"Lettere da Iwo Jima", il grande lavoro cinematografico di Clint Eastwood ha quasi venti anni, ma è senza tempo. Chissà se il dialogo tra il tenente colonnello Takeichi Nishi e il prigioniero americano è realmente accaduto. Takeichi Nishi però non è solo un personaggio di celluloide, la sua vita vera è molto più di un film.
Takeichi Nishi

Il marine dice di venire dall’Oklahoma, è sdraiato sulla barella coperta di polvere e sangue. Takeichi Nishi gli si rivolge con un inglese buono.
“Sai chi sono Marine Pickford e Douglas Fairbanks?”.
“Si’, certo”
risponde il militare con un filo di voce.
“Sono stati miei ospiti a Tokyo”
sorride il militare giapponese.
“Sei famoso, allora”. 

Iwo Jima 1945

Sono giorni d’inferno, successivi allo sbarco del 19 febbraio 1945 sull’isola, scudo avanzato della resistenza giapponese. L’interesse strategico è enorme, gli americani potrebbero beneficiare di una base aerea per colpire le infrastrutture nemiche senza dover più far decollare i bombardieri dalla lontana Cina e dalle isole Marianne. Dei quasi tre milioni di caduti giapponesi, circa un milione sono vittime civili e non hanno molto a che fare con fabbriche e industrie, ma è guerra tremenda più di qualsiasi, parziale narrazione. 
Iwo Jima viene fortificata con un lavoro estenuante di migliaia di uomini di esercito e marina imperiale, rispettivamente sotto il comando del generale Kuribayashi e del contrammiraglio Ichimaru. La supremazia aeronavale americana e la strenua resistenza giapponese si trascinano fino al 25 marzo con la resa della guarnigione giapponese e la perdita di oltre 27.000 militari delle due fazioni. 

Takeichi Nishi è fra i tanti, soprattutto ufficiali, che scelgono di non concedersi al nemico

Una lettera che non arriverà mai a destinazione, una tazza di sake, le ultime parole d’onore e il ricordo leggero dei fiori di ciliegio. 
Takeichi Nishi era famoso per davvero. Riuscì a portare sull’isola con sé un cavallo, il suo migliore amico. Non era Uranus a cui voleva un bene dell’anima, ma cavalcare era la sua vita, lasciare le redini libero di galoppare sulla spiaggia, ecco il suo modo di vincere contro la guerra. 

Takeichi Nishi
(Takeichi Nishi e Uranus)

Los Angeles 1932

Takeichi Nishi lo sconfitto era stato un vincente. Il primo, e tuttora unico, vincitore giapponese di una medaglia d’oro ai Giochi Olimpici nell’equitazione, la più prestigiosa delle specialità: il salto ad ostacoli. Los Angeles 1932, l’America nel destino. Takeichi è di buona famiglia, può viaggiare, è in Italia che acquista il cavallo – Uranus – che lo porterà a saltare meglio e più pulito dei favoritissimi statunitensi e svedesi. 
Il campo di gara è il Rose Bowl di Pasadena, 20 salti per 18 ostacoli complessivi, percorso disegnato dai tecnici dei padroni di casa. Undici al via, solo cinque riescono a completare la prova davvero impegnativa. Empire dello svedese Von Rosen Jr., già bronzo tre giorni prima nel concorso individuale completo, chiude con 16 penalità. Meglio, per l’entusiasmo delle migliaia di spettatori, Showgirl dell’americano Chamberlin con 12 penalità, prima di quel giorno più conosciuto per il touchdown nella tradizionale sfida Army vs Navy di 23 anni prima. Ultimo a saltare Uranus, non è immune da errori, sono sette penalità che diventano otto per aver superato il tempo limite, la flemma di Nishi ammutolisce le tribune che, dopo mezzo minuto di scoramento, applaudono freneticamente. 

Il tempo di Hollywood

Takeichi Nishi diventa una star, a modo suo, e c’è già tanto bisogno di normalizzare i rapporti tra le due nazioni. Hollywood lo adotta, il cinema non fa per lui, ma le buone amicizie sì e lo vedi scorrazzare con i macchinoni sul boulevard, oppure brindare a casa Chaplin. Continua a saltare e vincere, ma non a Berlino ’36 dove non ne va una per il verso giusto, solo piazzamenti nell’edizione dei Giochi dove la Germania fa piazza pulita nell’equitazione e altrove. 

Takeichi Nishi
(Takeichi Nishi con la famiglia)

Dopo Berlino il ritorno nei ranghi militari

Capitano inquadrato in un reggimento mezzi corazzati, gli viene affidato il compito di accompagnare a Iwo Jima 26 carri armati mod. Chi Ha Type 97. Missione a rotoli, intercettati da un sommergibile americano ben prima di raggiungere la costa. Poche perdite umane, ma i carri armati non arriveranno mai a destinazione. Takeichi Nishi ci torna a Iwo Jima – siamo a febbraio ’45 – per le settimane più cruente, senza via d’uscita. L’epilogo, la scelta condivisa con i suoi ragazzi, con i suoi superiori.
Ancora quattro mesi e qualcosa di inimmaginabile bagliore resterà negli occhi di tutto il mondo. 

 

Roberto Amorosino romano di nascita, vive a Washington DC. Ha lavorato presso organismi internazionali nell'area risorse umane. Giornalista freelance, ha collaborato con Il Corriere dello Sport, varie federazioni sportive nazionali e pubblicazioni on line e non. Costantemente alla ricerca di storie di Italia ed italiani, soprattutto se conosciuti poco e male. "Venti di calcio" è la sua opera prima.

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