Ormai è arrivato il momento importante. Sei da solo davanti allo specchio di casa e ti dici che hai quasi ottant’anni, più di qualche doloretto alle gambe e senti sempre più stanchezza nel ripartire.
Sono passati più di sessantacinque anni dalla prima volta, eppure stai ancora là. Questa settimana, più di cinque ore in due giorni. Tanto, troppo, così ti dicono, ma a quello che ti guarda dallo specchio non gli importa nulla di quello che dicono gli altri. Lui sta lì, con il borsone stretto sulle spalle, un borsone pesante, pieno di tutte quelle cose che hai sempre amato e che, prima “d’anna’ ar campo“, controlli con cura e pazienza. Lo so. Lo so che la parola ti fa un po’ paura, ma è questione recente, prima non era così. Dillo dai, dillo che il controllo delle cose nel borsone lo fai con cura e pazienza, certo, ma soprattutto lo fai con amore. Amore, già. Vaglielo a spiegare.
La vita al Moscarelli
Davanti allo specchio pensi che al Moscarelli passi tre giorni su cinque e tutti i fine settimana. Lo fai nonostante il brontolio affettuoso di chi ti vorrebbe giustamente più presente a casa, in famiglia, e che magari vorrebbe programmare qualche fine settimana senza aspettare il classico “dai mancano poche giornate“. Lo fai anche malgrado qualche frecciatina degli amici che credevi complici, ma loro hanno “smesso de drogasse, perché questo è ormai pe’ te!”.
Penso però che sono cresciuto (poco) così e chissà se riuscirò davvero a farne a meno. Ripeto, anche se ora mi stanco di più e a casa si nota perché ogni occasione è buona per sedere, non uscire dopo la partita o magari addormentarmi davanti alla televisione dopo un pomeriggio passato ad arbitrare una partita di allenamento.
Un album ancora da finire
È tutto vero, ma io “cor pallone” ho talmente tanti ricordi che se potessi trasformarli tutti in immagini, tipo le figurine Panini, ci riempirei una sessantina di album. Dalle partitelle in cortile ai primi tornei in parrocchia con Don Paolo, da “giovane di belle speranze” a “vai a farti le ossa in categoria“, prima, seconda, terza, tornei interni al lavoro e dopo-lavoro con gli amici. I nomi cambiano, ma l‘essenza è sempre la stessa: correre dietro “a quella cosa di gomma che rimbalza un po’ come je pare e che ami“.
Campo e vita
Quando non ce la facevi più a correre hai continuato lo stesso a rimanere in campo perché, dopo la famiglia e il lavoro, quella era la tua vita e il tuo divertimento. E lo hai fatto quasi sempre senza prendere un soldo… anzi!! La macchina che ti sei comprato con tanti sacrifici l’hai riempita di chilometri e alzatacce. Lo hai fatto nonostante le discussioni con gli altri “matti per pallone” come te , le stagioni storte, gli equivoci e, a volte, i risentimenti e i saluti a-mezza bocca di chi ce l’aveva con te perché “…nun m’avete fatto gioca’ “. Lo hai fatto prima con i tuoi amici di sempre, poi con quelli che lo sono diventati con il tempo e che ora incontri per strada a volte senza riconoscere perché al tempo erano ragazzi ragazzi e ora sono uomini anche con più di qualche capello bianco.
Potrebbe e dovrebbe bastare col calcio e tornare “alla normalità”
Dovresti fare come chi ti giudica da fuori e ti dice “adesso basta, hai la faccia stanca quando ritorni a casa o stai con noi amici e poi sei troppo magro“. Forse così avresti più tempo per i centri commerciali, il centro anziani, la passeggiata sulla Tuscolana o persino a via del Corso. Io ascolto, ascolto tutti, ma poi penso a come reagirebbe l’inguaribile pallonaro che fa parte di me e credo, o mi piace crederlo, che in qualche modo, qualcosa dentro di me morirebbe.
“A Nello, ma che dici? Tutte scuse!”
Adesso che lo specchio non ti ha risposto e che il borsone che hai in mano diventa sempre più pesante, sai che devi prendere una decisione e che lo devi fare in fretta. Sì, perché altrimenti faccio tardi alla partita amichevole di allenamento, i ragazzi mi stanno ad aspettare e poi ho deciso che oggi gli faccio fare una cosa che m’è venuta in mente e che li farà divertire.
Lo specchio può aspettare, il campo no!
E poi non mi posso perdere il bello del calcio. C’è chi non fa altro che parlare male di uno sport popolare come il calcio dilettantistico, riportando frasette da luogo comune tipo “ho sentito i genitori dire spezzaje le gambe” e ancora “a quer poraccio dell’arbitro quante je n’hanno dette” e via dicendo, chi più ne ha, ne metta.
Una felice giornata di pioggia
Oggi invece a San Basilio le due squadre hanno onorato il calcio giocando una bella e correttissima partita. Alla fine ero zuppo dalla testa ai piedi per la tanta acqua presa, ma ho potuto riabbracciare tanti ex “miei ragazzi”. Uno per tutti, Gianluca G. e tanti altri che non posso nominare tutti anche perché, confesso, di qualcuno il nome si è perso nella mia memoria. Perdonatemi, siete stati tantissimi nella mia vita, ma vi assicuro che sei nomi sono sfuggiti, i visi me li porto tutti scolpiti dentro, tutti belli con la stessa sana voglia di giocare a pallone.
E allora sì, specchio o non specchio, risposte o non risposte, una cosa a questo punto devo proprio dirla: grazie ragazzi per la gioia con cui avete arricchito la mia vita.