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La passione del remo

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Alle soglie degli ottant’anni, da tre collaboro alla formazione di atleti Special Olympics presso la Canottieri Firenze. Si tratta di una categoria di atleti con disabilità intellettiva presente in tutti gli sport, che trova nel canottaggio un’opportunità educativa, sportiva e di svago di particolare aiuto per i ragazzi e per le loro famiglie. Esperienza umana frutto di uno dei tanti volontariati che ancor più in questo periodo di pandemia dimostrano come il valore umano possa essere di sostegno a chi è meno fortunato.

Avevo 16 anni quando nel 1957 il professor Bucilli, insegnante di educazione fisica, ex comandante dei bersaglieri, ci diceva “voglio vedervi correre all’assalto come i miei bersaglieri” e non smetteva di stimolarci nell’attività fisica, finché un giorno ci propose di iscriverci alla Canottieri Sampierdarenesi per praticare il canottaggio, uno sport che avevo sempre ammirato. Il contesto della Canottieri era molto particolare a quell’epoca. Fortunatamente il mio disagio iniziale si dissolse con la frequentazione di quell’ambiente. Era formato prevalentemente da muscolosi scaricatori di porto, dove la lingua più corrente era il genovese, lingua che avevo da sempre ascoltato dai miei genitori che però avevano evitato di insegnarmi perché considerata diseducativa per un italiano corretto.

Insieme ad altri aderii all’iniziativa del professore e spinti dall’entusiasmo facemmo prima tesoro delle necessarie nozioni teoriche per giungere poi al momento topico dell’aggregazione. Con Parodi, Puppo e Scarpa formai un quattro jole, disciplina che ci appassionò per tutto il periodo della scuola. Via via andarono a formarsi altri equipaggi e all’ombra della “Lanterna” tutti insieme imparammo a praticare la voga.
L’esperienza di fare parte di un equipaggio fu il primo insegnamento di uno spirito di gruppo che ci avrebbe unito per alcuni anni. Appresi i rudimenti della voga, venne presto l’occasione di cimentarci in una gara nella categoria cadetti.
Era il 1957.
Ogni anno le società liguri si incontravano con le società della Provenza. Quell’anno la competizione si sarebbe svolta a Villefranche, a due passi da Nizza. L’emozione era tanta, noi ci sentivamo, anzi eravamo i pulcini della società, attorniati da equipaggi esperti e molto capaci ai quali era naturale che la Società rivolgesse l’attenzione primaria.
Poco sapevamo sulle modalità della partenza e ancora meno ci era stato insegnato. Infatti, dopo l’allineamento, fu dato il via: “messieurs été vous prêt partez”, ma appena fu pronunciata la parola “messieurs”, tutti partirono e solo al “partez”, buoni ultimi, partimmo anche noi.
I primi metri, ricordo, eravamo nel pieno di una disperazione, poi ad uno ad uno raggiungemmo gli altri equipaggi e tagliammo il traguardo. Arrivammo primi! Fu una gioia infinita e ancora oggi mi suonano nelle orecchie gli applausi di quando ci avvicinammo alla riva.

Questo fu il fortunato esordio di una passione destinata ad accompagnarmi negli anni a venire. I risultati non furono sempre così eclatanti anche se come allievi vincemmo i campionati liguri fino al 1960 quando ci diplomammo e ciascuno di noi per esigenze lavorative andò per altri lidi.
Io prima a Roma e poi in Brianza dove mi sposai con Maria Grazia, senza mancare mai di praticare il canottaggio anche se l’attività lavorativa mi costringeva a viaggiare in vari paesi del mondo.
Durante gli oltre quarant’anni trascorsi in Brianza, scoprii una società di canottaggio sull’Adda, precisamente a Trezzo d’Adda, ai confini fra la provincia di Milano e quella di Bergamo.
Qui passai alla categoria “master”, dovetti tuttavia accettare risultati molto più modesti, ma rimase indissolubile lo spirito di una comunità che mi avrebbe accompagnato fino ai giorni nostri. Lo spirito di collaborazione e comunitario, era contagioso perché si estendeva ai genitori degli atleti che collaboravano alle iniziative della società stessa e tifavano per i loro ragazzi con spirito veramente sportivo.
Aiutare canottieri di altre società in occasione delle gare era pratica corrente, mentre poi, in gara ci si fronteggiava sportivamente.
La Canottieri Tritium di Trezzo mi ha insegnato come attraverso lo sport, in particolare questa disciplina sportiva, si possano aiutare giovani nel periodo più delicato della loro formazione attraverso tre insegnamenti: il beneficio di imparare, il sacrificio e la disciplina, coniugati con l’impegno scolastico.
Nel maggio del 1983 si correva a Gavirate sul lago di Varese, una tradizionale gara nazionale. Quello stesso anno fui eletto Presidente per un quinquennio e potei apprezzare ancora di più lo spirito di collaborazione di genitori, consiglio direttivo ed autorità comunali che non mancarono di collaborare attivamente. Misero perfino a disposizione una sede e tanto altro.
L’esperienza di presidente fu funestata da un terribile episodio.

Il 7 gennaio del 1985 la temperatura a Trezzo, ricordo, era gelida, ma ancora più gelide erano le acque dell’Adda. Giunto in Società venni subito avvertito che un ragazzo di 16 anni era caduto in acqua e non si era salvato. Mi informarono che di lì a breve sarebbe arrivato il padre e a me sarebbe toccato il triste compito di informarlo e di accompagnarlo sul luogo dove i sommozzatori stavano recuperando il corpo. Non meno doloroso fu seguirlo fino a casa. Di fronte ad una tavola apparecchiata per tre per il pranzo comunicammo alla madre la terribile notizia. L’episodio scosse tutta la società e gli opportuni accertamenti mi costrinsero a seguire le dovute fasi giudiziarie che prosciolsero la società. Encomiabile il comportamento dei genitori che, nonostante il grave fatto e il dolore profondo, riconobbero il beneficio che il canottaggio aveva procurato al loro figlio, di carattere introverso e che, grazie a quella disciplina sportiva aveva imparato a socializzare, nonché migliorato il comportamento caratteriale.

Avevo 60 anni quando una brutta esperienza toccò a me e persi mia moglie Maria Grazia, la partecipazione della Canottieri Tritium al funerale fu di conforto ed il canottaggio mi aiutò a gestire un difficile periodo.
Dal 2003 vivo a Firenze dove Claudia, la mia compagna mi ha aiutato a scoprire le bellezze di questo nuovo contesto. Ho da subito frequentato la Canottieri Firenze che ha sede negli scantinati degli Uffizi, un ambiente molto diverso rispetto a quelli da me frequentati in precedenza, dove però lo spirito che anima il canottaggio è sempre uguale.
Con i colori della Canottieri Firenze ho arricchito ancora una volta la mia esperienza sportiva, e pure quella umana. Ho partecipato a molte gare dove ho ritrovato vecchi amici con i quali avevo già vogato in precedenza, con o contro, e con gli stessi ho passato anche momenti molto piacevoli.
Avevo 69 anni quando nel 2010 l’allenatore mi propose di partecipare ai campionati italiani Master con Giorgio Bani, un campione pluri medagliato, tredici anni più giovane di me. Non eravamo mai usciti in barca insieme e mi recai a Candia con non poca emozione anche perché gli avversari erano ben qualificati. Ci mettemmo ai remi per la prima volta e trovammo subito un buon affiatamento mantenendo un buon ritmo e quando Giorgio, capovoga, iniziò il “serrate” degli ultimi 300 metri tenni il ritmo e ci qualificammo al secondo posto.
Una grande soddisfazione che ancora oggi ricordiamo entrambi con soddisfazione.

Siamo a maggio del 2013, gara nazionale di singolo a Gavirate sul lago di Varese. La mia speranza era di potermi qualificare in zona medaglie anche se, ormai settantatreenne, tutti i partecipanti erano più giovani di me.
Sei equipaggi agguerriti, partenza, via! Gara molto combattuta e in prossimità del traguardo ero tra i primi tre, ma pochi metri prima, pensando che la gara si fosse conclusa, smetto di remare perdendo una posizione. Con un po’ di disappunto rientro all’imbarcadero per scendere dalla barca, quando vedo accostarsi alla mia l’imbarcazione del terzo classificato della Canottieri Varese: Guido Zocchi. Guido volle che prendessi io la medaglia di bronzo che aveva appena ricevuto, dicendo che mi spettava di diritto.
È stato un gesto che non mi sarei mai aspettato, che mi ha commosso profondamente per il valore umano e sportivo che rappresenta.

Nel 2018 partecipo a una regata non competitiva, unica al mondo, la Vogalonga.

La partenza avviene in Bacino S.Marco. a metà percorso si raggiunge Burano e si entra in Murano rientrando a Venezia per il canale di Cannaregio ed il Canal Grande e quindi l’arrivo di fronte a San Marco.
L’unicità di questa gara è che possono partecipare tutti i tipi di imbarcazioni a remi, provenienti da tutto il mondo. Il risultato è che oltre 3000 imbarcazioni si assiepano alla partenza dei 30 chilometri del percorso.
Definito l’equipaggio di otto vogatori otteniamo dalla Canottieri Comunali un’imbarcazione otto jole da restaurare e per diversi giorni esprimiamo al meglio le nostre capacità di bricoleaur, poi finalmente si va a Venezia.
A causa dell’assembramento, riusciamo a partire anche noi solo dopo venti minuti dal via e oltre a vogare in modo discontinuo, per tre ore godiamo dello spettacolo di Venezia vista dal mare. Una bellissima manifestazione col risultato di un affiatamento unico fra i partecipanti che, immortalato nella nostra mente, ricordiamo con piacere ogni volta che ci ritroviamo.

Concludo qui il mio racconto ringraziando lo sport e coloro che mi hanno consentito di vivere esperienze così toccanti e meravigliose.

Virgilio Gallo, pensionato, già dirigente di multinazionali del settore informatico. Avevo 16 anni quando nel 1957 il professor Bucilli, insegnante di educazione fisica, ex comandante dei bersaglieri, ci diceva “voglio vedervi correre all’assalto come i miei bersaglieri”.

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