Francesco Repice, tra le voci più amate e coinvolgenti dello sport nazionale, è il protagonista passionale e romantico dello spettacolo La Voce degli Eroi, omaggio all’eternità del racconto e dei relator che hanno emozionato, attraverso i ricordi in radio o in televisione, ogni cultore e appassionato di sport. Un viaggio, emozionale, antico, tra la storia e le imprese sportive che si mescola, nella sua bellezza e semplicità narrativa, a quella di tutti noi e che scaldano il cuore e gli occhi di ogni sportivo. Un fantastico percorso tra mente, voce e immagini, dall’incredibile vittoria dei mondiali dell’82 insieme a Nando Martellini, passando per l’allunaggio raccontato dall’indimenticabile Tito Stagno e per il “barrilete cosmico” di sua leggenda V.H. Morales. Ma non solo. Repice naviga anche nel passato, quando la radio era l’unico strumento di informazione, ricordandoci le gesta eroiche, di Jessie Owens, Nino Benvenuti, Mohammed Alì, il tragico evento di Monaco ‘72, ma anche l’eroico Pier Paolo Pasini o l’eleganza dell’immortale voce firmata Paolo Rosi che racconta l’atletica. Tutti uomini di passione e anima, eleganza e istinto, come Giampiero Galeazzi, incredibile giornalista e professionista senza tempo. Una storia, tante storie, di eroi e di voci da chi, come Repice, parla all’anima, utilizzando il calore di una semplice frase o di un momento indimenticabile.
Francesco, come nasce l’idea di creare questo spettacolo, che unisce incredibilmente, sport, storia e voce?
Nasce soprattutto dalla voglia di ricordare tutti i colleghi che ci hanno e mi hanno preceduto, e che hanno scandito con i loro racconti, parti delle nostre esistenze. Non si tratta di eventi puramente sportivi, o perlomeno non solo quelli, o anche quando lo sono stati, ne è stata così grande l’importanza, che hanno segnato, in un certo modo, le pagine di storia. Se sono diventati momenti epici ed eroici, lo si deve alla loro voce indimenticabile, che li ha saputi porgere e raccontare a tutti gli italiani.
Da Victor Hugo Morales, a Sandro Ciotti, passando per Paolo Valenti, ma anche Nando Martellini, Pizzul e Giampiero Galezzi, tutti a loro modo sono state voci indimenticabili. Ma se dovessi individuare una caratteristica, una peculiarità, che li ha resi immortali, quale sceglieresti?
Io credo che ognuno di loro, per cifra stilistica, e modo di raccontare, rappresenti un unicum nel modo di narrare l’evento. Certamente, hanno un minimo comune denominatore che li lega ed unisce: la passione e l’emozione. La loro era una capacità, come dicono i sudamericani, di “relatar”, ovvero porgere un racconto attraverso le parole ed emozionare, renderlo fruibile, meravigliosamente godibile. Le loro voci rendono partecipe chi li ha ascoltati.
Da appassionato e competente di sport, e da radiocronista sul campo, se dovessi individuare due momenti che ti hanno emozionato particolarmente, che avresti voluto raccontare, e che hai invece narrato, quali sceglieresti?
Il primo è certamente “Rumble in the Jungle”, Muhammad Alì contro George Foreman, a Kinshasa nell’ottobre del 1974. Ma anche quel fantastico ragazzo del sud degli Stati Uniti, che risponde al nome di Jessie Owens, che folgorava e frantumava, grazie alle sue imprese, tutta la follia di un manipolo di sanguinari. Tra quelli che ho avuto la fortuna di narrare, è sicuramente l’incredibile notte di Eric Abidal, che da capitano, vinse con il Barcellona in maniera del tutto inaspettata. Direi che sono stato molto, ma molto fortunato.
Credi che dopo tanti anni di narrazione, e radiocronache, il calcio si sia evoluto?
Io amo chiamarlo “pallone”, e non calcio, perché amo il termine più romantico e popolare, e ne parlo per quello che mi consta e sono capace di fare. Fondamentalmente credo che sia rimasto tutto uguale, vincono i giocatori più forti, quelli che al novantesimo hanno maggiore testa e cuore. Tutto il resto è fuffa.
In alcune tue incredibili radiocronache hai parlato di Kvara come un calciatore simile a George Best. Una visione poetica e sentimentale, della sua figura. Come hai “vissuto”, il suo passaggio all’estero?
Certamente, mi ricordava quel tipo di calciatore e leggenda. Del suo trasferimento me ne sono fatto una ragione. Io non sono tifoso del Napoli, ma posso immaginare la sofferenza di un tifoso partenopeo nel non vedere più la maglia settantasette indossata dal georgiano. In sostanza è andato in un super-club, ma Parigi non potrà mai essere come Napoli, e sicuramente se tifi per una squadra che ha avuto la fortuna di vedere giocare il più grande calciatore di tutti i tempi, non puoi avere spazio per la nostalgia.
Tu hai scritti vari libri, ricordiamo “La Sera dei Miracoli”, in omaggio all’impresa Champion della Roma, e sei allo stesso modo un uomo che lavora con la voce. Che differenze ci sono tra i due processi creativi?
A me riesce più complicato scrivere, anche perché quando vado in radiocronaca, magicamente, le parole sgorgano spontanee guardando quello che succede in campo, il tutto sboccia dal cervello e dalla “celebre” glottide. La scrittura però è più comoda, ti permette di lavorare con calma, trovando termini adatti e giusti nel contesto letterale. Preparare un lavoro teatrale o cinematografico, può risultare però molto divertente.
Con che aggettivo indentificheresti il tuo spettacolo?
Sicuramente non del mio spettacolo, ma delle loro voci, sceglierei: eterno. Delle loro narrazioni non ci dimenticheremo mai, soprattutto perché hanno reso storici dei momenti che resteranno memorabili.