“…è il giorno del Signore, mi spiace, non posso correre”.
Una veloce occhiata al calendario e il funzionario dell’Amateur Athletics Association si rende conto che il 6 luglio 1924 sarà domenica. La risposta lo lascia senza parole. Il ragazzo è forte, forse il più forte che la squadra di atletica inglese porterà alle Olimpiadi di Parigi. “…potrebbe non ricapitarti un’occasione del genere. Sicuro che non vuoi correre i 100 metri?”.
Eric Liddell è un atleta e un campione, ma è anche uomo di fede e non ha alcun dubbio.
“Sicuro, correrò quello che si potrà in altri giorni. Per quanto riguarda il dopo, beh, lo vedremo dopo”.
Dalla Cina all’Inghilterra
C’è da dire che se nasci nel 1902 in Cina, proprio a Tientsin dove gli occidentali hanno ancora ferite aperte per la recente rivolta dei Boxer, e i tuoi genitori sono missionari protestanti scozzesi, Dio con te deve aver fatto patti chiari da subito. Il ragazzo i patti li manterrà tutti.
Eric rimane a Tientsin per sei anni poi, insieme al fratello maggiore, rientra in Inghilterra; destinazione Eltham College, sud di Londra. I genitori e la sorellina invece rientrano in Cina.
Si diventa grandi presto così.
La vocazione tra sport e Dio
Con un’impronta familiare ispirata al rigore e un’educazione religiosa rafforzata dal College, Eric cresce con la certezza della vocazione: seguirà la strada di Dio. Nel frattempo, però, si dedica anche allo sport e Dio lo mette in condizione di riuscire bene in tutto quello che fa. Eric matura come ragazzo e come atleta. Corsa, cricket e rugby a 15 diventano i suoi orizzonti quotidiani. Quando nel 1918 arriva all’Università di Edimburgo è già atleticamente formato ed è pronto per il salto di qualità. I coach lo inquadrano e lo indirizzano; a cricket si può divertire, ma è nel rugby e nell’atletica che può dare il meglio di sé.
I successi nel rugby
I primi successi universitari li coglie proprio con la palla ovale dove diventa presto l’ala veloce della Nazionale scozzese. Quasi tutti i 37.000 spettatori che il 2 gennaio 1922 lo vedono in campo contro la Francia al Cinque Nazioni capiscono che quel ragazzo gli potrà dare parecchie soddisfazioni. Una sicuramente arriva il 25 febbraio, quando contro l’Irlanda Eric mette a punto la meta del vantaggio finale.
L’anno seguente va ancora meglio: va a meta e vince contro Francia, Irlanda e Galles. Non va a meta solo nell’ultima partita, quella persa contro l’Inghilterra. Il rugby comunque è cosa sua, nessuno ha più dubbi. Nessuno. Forse quasi nessuno.
Nel 1923 inizia infatti la nuova vita sportiva di Eric Liddell
Quella contro l’Inghilterra sarà la sua ultima partita di rugby, perché il ragazzo stupirà tutti alle selezioni olimpiche indette dall’Amateur Athletics Association. Sulle 100 e sulle 200 yards abbatte i tempi del campione nazionale Harold Abrahams e poco dopo, in un triangolare tra Inghilterra, Scozia e Irlanda sarà protagonista di una 440 yards vinta dopo una caduta e il recupero di uno svantaggio di alcune decine di metri.
La grande scelta
Insomma, al funzionario dell’Amateur Athletics Association quando Eric Liddell dice di non voler correre i 100 metri e le staffette 4×100 e 4×400 perché di domenica, tremano polsi e gambe, ma non si perde del tutto d’animo. “Va bene, allora correrai i 200 e i 400. Nessuna domenica in mezzo, ma inizia subito ad allenarti per queste distanze”. Eric sa cosa fare “Mi allenerò” dice e va via.
Harold Abrahams ha passato tutta una vita nel dubbio se ringraziare o meno la scelta di Eric; vincere i 100 metri olimpici, come farà lui, senza il tuo avversario migliore non è onorevole.
Parigi ‘24
A Parigi Eric Liddell sorprende ancora una volta. Il 6 luglio, mentre Abrahams corre la batteria di qualificazione dei 100, lui tiene una predica nella chiesa scozzese di Parigi. Il giorno dopo, però è sugli spalti ad applaudire l’amico-rivale. Quando tocca a lui scendere in pista, si porta a casa il bronzo nei 200 metri, ma nei 400 taglia il traguardo stabilendo il record olimpico con 47,6 e si prende l’oro dove nessuno se lo aspettava.
Grande atleta, certo, ma l’uomo di fede non si è mai sopito. Di quella gara Eric dirà “Ho corso i primi 200 più veloce che potevo, gli altri 200 li ho corsi con l’aiuto di Dio”.
Forse è proprio così, forse anche questo era nei patti iniziali.
La vita sportiva di Eric Liddell finisce qui, i suoi patti con Dio no
Nel 1925 si laurea, vive una passione intensa con una giovane artista, la pittrice Eileen Soper e poi torna in Cina, missionario ed insegnante nelle scuole per i poveri, proprio come i genitori.
Il tempo vola ed Eric vola sempre più in alto, la sua maturità spirituale ne fa un esempio per chiunque lo conosca. Nel 1932 torna in Inghilterra, viene ordinato ministro di culto e poi torna sui suoi passi. Nel 1934 sposa l’amore della sua vita, la missionaria canadese Florence Mackenzie, con un matrimonio celebrato nella chiesa della loro missione a Tientsin. Sono anni felici. Felici di quella gioia riservata agli uomini che riescono a trasformare in dono il peso di occuparsi dei più bisognosi.
Sono anni felici, ma il mondo spesso impazzisce.
Accade così
Accade che la guerra europea diventi presto mondiale, accade che il Giappone invada la Cina e che Eric metta in salvo la moglie e le tre figlie che arriveranno sane e salve a Toronto.
Potrebbe andare via anche lui, ma dice no. Credo che i patti prevedessero altro. Eric rimane in Cina. Eric è scozzese di sangue, caparbio e coraggioso come gli scozzesi sanno essere, ma qui è nato e qui c’è chi ha bisogno di lui.
La vita in prigionia
I giapponesi hanno gioco facile, arrivano presto a Tientsin ed Eric viene internato in un campo di prigionia a Weihsien. Privazioni, sofferenze, maltrattamenti non gli toccano l’anima. Il suo status di campione olimpico lo rende appetibile per uno scambio di prigionieri, ma ancora una volta lui dice no. Rimane al campo, forte nello spirito, fiaccato nel corpo, probabilmente malato di un tumore al cervello che inizia a divorarlo.
L’ultima corsa
Per il divertimento dei suoi carcerieri Eric corre ancora una volta.
Quel giorno 1.500 prigionieri guardano in silenzio verso un solo punto del campo, lo stesso dove guardano anche le guardie. Accanto a Eric c’è il venticinquenne Aubrey Grandon, idue si scambiano uno sguardo, ma subito dopo i loro occhi puntano il capitano giapponese che davanti a loro tiene alto un fazzoletto bianco. Li guarda anche lui poi, improvviso e atteso, il braccio si abbassa. I due scattano in avanti con anima e corpo, o perlomeno con quello che gli è rimasto.
Eric corre con la forza di Dio. È lui che lo fa arrivare al traguardo. Aubrey Grandon non si vanterà mai di aver battuto un campione olimpico.
“All will be well”
Eric Liddell muore nel campo il 21 febbraio 1945. Qualche settimana prima era andato da Stephen Metcalf, suo allievo a Tientsin che aveva ritrovato al campo, internato insieme a lui. Andò portando in mano le sue scarpe chiodate da atletica, scarpe rovinate e consumate, tenute insieme dai lacci.
A Stephen disse “tienile tu, potrai fare ancora un po’ di strada con queste.” Stephen le indossò al funerale di Eric.
“Ama il tuo nemico”, così diceva Eric e a questo aveva ispirato tutta la sua vita. Su un foglietto, poco prima di morire aveva scritto con calligrafia incerta “All will be well”.
Andrà tutto bene, sì. Andrà tutto bene.
Non dobbiamo dimenticarlo mai.