De Falchi. Semplicemente Antonio…

Non c'è un motivo, non c'è una data o una ricorrenza. C'è un murales che mi parla e mi porta indietro, in un tempo mai dimenticato. Soprattutto, mi porta in un dolore che non è mai passato
Antonio De Falchi

Cammino di pomeriggio dalle parti di via delle Vigne Nuove, a Montesacro, periferia di Roma e mi trovo davanti due murales molto particolari, per i colori ma soprattutto per il nome e cognome che leggo: “Antonio De Falchi”. Mi fermo e mi viene da riflettere domandandomi, chissà se qui accanto a me ci fosse proprio lui Antonio, di anni 55, a parlare con me di quanto possa rappresentare, ancora adesso, quella scritta sul muro.
Più la guardo e più mi commuovo, strano perché di tempo da quella maledetta domenica di giugno del 1989, di tempo ne è trascorso tanto e poi tanto ancora. Eppure è ancora così. Le stesse identiche sensazioni che provo ogni volta che allo Stadio Olimpico c’è una partita contro il Milan. È una strana sensazione mista tra emozione per un ricordo difficile da cancellare dalla memoria di ogni tifoso giallorosso, e una rabbia per come sia accaduto.

Ancora adesso pensi a quel che è accaduto?

Sì! Ancora adesso, perché si può e si deve ricordare, per rispetto nei confronti di un giovane tifoso, anzi meglio identificarlo come un “pischello” e tutto quello che è avvenuto nel tempo, sino ad oggi. Purtroppo capita spesso, specialmente al sottoscritto, di vedere la sua tomba al cimitero di Prima Porta, dove accanto alla sua lapide c’è una sorella di mio padre alla quale porto un fiore per un ricordo, e un fiore lo deposito pure sul quel pezzo di marmo che corrisponde ad Antonio De Falchi. Una preghiera e poi un saluto, tutto qui.

Antonio De Falchi

Il coro più bello

Non sta a me giudicare e nemmeno riaprire una ferita attraverso la lettura dei fatti di cronaca di allora, di chi si è sentito padrone di una vita altrui e ha pensato di poterne fare ciò che la mente, in quel preciso istante, ha voluto mettere in atto. Un atto a dir poco vandalico, ma oggi certi aggettivi non hanno più senso starli a pronunciare, non hanno più nessun valore, per gli altri però perché per noi basta solo pronunciarne il nome che come dice la scritta sul muro parte “il coro più bello”.
Difficile per me staccarmi da quell’immagine, sarà perché quel tipo di violenza non solo non mi appartiene ma perché alla fine non ha portato nulla di buono, anzi, in alcuni casi, ha fomentato beceri gruppi di pseudo tifosi che si sono avvalsi di certe circostanze verbali, come cori contro, ma anche scritti, come uno striscione maledetto che spesso è apparso a Milano sponda rossonera.

Esperia

Tempi non lontani mi riportano a due particolarità legate proprio ad Antonio De Falchi, o semplicemente Antonio. Una riguarda quella parte di asfalto all’estrema periferia di Roma, a Torre Maura, dove ogni anno si ricorda e commemora la figura di uno della Curva Sud. L’altra invece a quello strano nome di donna che chissà quanto ha penato nel convivere con quanto accaduto quella domenica: Esperia, la mamma di Antonio. A pensare alla sua vita senza Antonio mi vengono i brividi.
Non mi va di stare a ricordare quello che è stato, lo lascio a chi meglio di me ha saputo riportare i fatti nel suo contesto. Una cosa mi garba e mi inorgoglisce sempre più è strettamente legata alla Curva romanista, la mitica Sud che espone bandiere e striscioni e persino immense coreografie nel nome di De Falchi perché i fratelli non si dimenticano. Mai!

Torre Maura

Ultimamente è stata scoperta una targa in nome di Antonio proprio in quel quartiere dove ha vissuto quel margine di vita a Torre Maura nel VI Municipio. Per qualcuno sarà stata anche una passerella, per la maggior parte uno dei tanti sogni divenuto finalmente realtà. Una targa e un parco dedicato interamente a un angelo caduto per effetto di una mano mal collegata al cervello. Facile pensare e dire che sia di esempio per tutti i tifosi di calcio, mentre invece ci dovremmo soffermare davanti quei centimetri di marmo che riportano “Vittima della violenza negli stadi” e riflettere non tanto delle belle parole quanto sui brutti gesti che si ripetono continuamente e con una certa costante.
In memoria di un tifoso “pischello”, senza riferimento a date e commemorazioni.

 

 

Stefano Trippetta 66 anni, romano. Scrittore non per vocazione ma solo per passione rivolta alla città che fortunatamente mi ha voluto, scelto e cresciuto. Attraverso il filtro di una buona memoria sono riuscito a dividere questa grande madre: da una parte la Roma del cuore, la Lupa, tatuata con orgoglio; dall'altra quella razionale legata a ogni tipo di cambiamento, atteggiamento, costume.

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