17 giugno e per noi di calcio sarà sempre Italia vs Germania. 55 anni, una vita. Come è finita lo sappiamo tutti, ci sono i ricordi, le immagini, le testimonianze. Siamo dei privilegiati, anche se oramai perdiamo pezzi, senza dire dei capelli e della memoria. Della fine di Augusto Faccani, altro 17 giugno ma a.d. 1944, invece sappiamo poco e nulla. Wikipedia dice incidente stradale, nulla più. La Quinta Armata a stelle e strisce è a Roma da meno di due settimane, ha dovuto contrastare una resistenza feroce, per quanto disorganizzata, degli ultimi irriducibili che non vogliono partire per il nord o semplicemente non possono. Si spara dai tetti di Porta Furba, a via Tuscolana, di più al centro tra Colosseo e Campidoglio, dal palazzo delle assicurazioni di piazza Venezia. A Centocelle e a Torpignattara ci sono ancora dei tedeschi, ancora più invisibili e misteriosamente disposti a difendere la postazione piuttosto che a saltare sul primo carro direzione Aurelia.
Roma città pericolosa
Il clima non è quello dei film, John Huston ha fatto vedere in Sicilia come si fa a far arrivare il messaggio di chi vince. Lo stesso generale Clark si presta alla cinepresa davanti al cartello “Roma” sulla Casilina, ma una scarica di mitra rischia di lasciarlo freddo sul posto. La polizia americana si installa, non per combattere che è compito dei militari, ma per garantire l’ordine con posti di blocco e controlli, spesso senza una conoscenza minima dei luoghi e dei contesti, senza dire delle abitudini di una popolazione peraltro provata da mesi di bombardamenti e rinunce di ogni tipo.
La tragedia
Non è un incidente stradale, Augusto Faccani viene falciato da una camionetta della polizia americana a pochi passi da casa sua a San Giovanni. Attraversava la strada, forse come altre migliaia di altre volte, forse distratto, sicuramente come non avrebbe fatto se consapevole del rischio. Difficile credere a un gesto dimostrativo di chissà che cosa.
La polizia allontana chi si avvicina per aiutarlo, per riconoscerlo. “Ma è “Compare”, er fijo de Ernesto er fruttarolo“. Sì, quello bravo a pallone. Proprio lui, Augusto quasi 100 partite con la Lazio tra il 1908 e il 1923. È tra i protagonisti della storica vittoria biancoceleste della Coppa Interregionale 1908, vero e proprio campionato del centro sud: tre partite nella stessa giornata con Lucca, Pisa e Livorno, otto reti fatte e zero subite. C’è ancora nel 1915 quando la Lazio arriva vicino allo scudetto che ancora oggi sente un po’ suo. C’è nel primo dopoguerra quando vive, calcisticamente parlando, le stagioni migliori senza, incomprensibilmente, il premio della convocazione in maglia azzurra.

(Augusto Faccani, secondo in piedi da sinistra)
L’atleta, l’italiano
Augusto è davvero il prototipo perfetto della polisportiva Lazio. Giavellottista oltre i 41 metri, nuotatore e pallanuotista, schermidore infine e sempre con risultati a livello nazionale. Eccelle però nel calcio dove è di esempio per correttezza e personalità, la sua presenza a centrocampo si avverte, comanda il gioco ed aiuta il compagno di reparto quando serve, il lancio lungo e preciso sull’attaccante il suo marchio di fabbrica. Ama il calcio, la Patria di più. Nel 1909 molla tutto per raggiungere il 24′ reggimento di artiglieria di campagna, due anni dopo è in Cirenaica poi in Tripolitania da puntatore scelto. Nel ’15 è di nuovo artigliere senza grandi riconoscimenti, caporale niente di più, ma sempre rispettato dai commilitoni e dai superiori.
Nel 1923 le fatidiche scarpe appese al chiodo e poi giù a faticare fino a diventare un punto di riferimento nel mondo del commercio ortofrutticolo. Lo chiamavano “Compare“, ma scompare dal radar del calcio che non è quello spietato di oggi, ma è già capace di esaltare, dimenticare nello spazio di un sospiro.
La camionetta che lo centra non può conoscere la sua storia, ma fa di tutto per far dimenticare in fretta anche la sua fine.
[Augusto Faccani, Roma 31.5.1891 – Roma 17.6.1944]