Roma, mercoledì 8 novembre 2023, festa dei Santi Coronati, il lancio di agenzia: “Trovato l’accordo tra Julio Velasco e la Federvolley. Dal gennaio del prossimo anno il tecnico argentino Julio Velasco sarà alla guida della nazionale femminile. Obiettivo Olimpiadi”.
Parigi, sabato 11 agosto 2024, “dernier jour des JO”
Non è l’ultimo tango, è l’ultima palla. Difesa problematica Larson sulla schiacciata Egonu, forza Thompson di seconda, fuori. Al secondo match point la chiude l’Italia, 25-17, tre sets a zero alle americane. Le azzurre, per la prima volta nella storia della nostra pallavolo, si accomodano nell’Olimpo. Tredici ragazze d’oro ed una guida tranquilla: Julio Velasco. Erutta la South Paris Arena, diciottomila – vincitori, vinti e neutrali -sulle tribune tra “Eros, Italodisco e Sarà perché ti amo”, mentre la regia tv cattura Julio che abbraccia i tecnici Lollo “mister secolo” Bernardi e Massimo “il pluridecorato” Barbolini, gli assistenti Manuela Leggeri e Juan Manuel Cichello, il medico Emanuela Longa, la fisioterapista Maira Di Vagno. Sono il suo dream team, da lui accuratamente selezionato con un compito ben preciso, né banale neé originale: giocar bene, migliorare, sostenere un ambiente positivo per centrare l’obiettivo: massimizzare il potenziale delle giocatrici. Conseguenza prevista: vincere.
Riavvolgiamo il nastro
Non quello della rete che divide il campo, ma quello della storia infinita tra Julio e la nostra pallavolo. È il 1982, lui vice tecnico della sua Argentina che va sul podio al mondiale. Jesi e poi Modena, raffica di scudetti e l’approdo alla nazionale italiana maschile. È l’inizio di una epopea fenomenale: due campionati del mondo, tre europei, cinque world league per una nazione mai riuscita prima ad imporsi al vertice con questa sfacciata regolarità. Bernardi, Cantagalli, Lucchetta, Zorro Zorzi, Tofoli, Giani, Gardini si prendono la scena per un lustro e più, ma il mondo – soprattutto fuori quei diciotto metri di campo e quei palazzetti finalmente gremiti – guarda al guru, al filosofo di La Plata. Non è l’accento, è quello che dice, come lo dice, come combina il pensiero con l’azione e come ci racconta, pescando tra storielle e riflessioni, cosa c’è nella testa del giocatore, soprattutto del giocatore italiano. “Siete i migliori a tavola, nell’arte, nel vivere bene, ma in campo le prendete dai sovietici, dai cubani, dai brasiliani. Il vostro primo nemico siete voi. Dove comincia la vostra convinzione?”. “La luce di un faretto piazzato male ti ha fatto sbagliare la ricezione? Quindi, mi stai dicendo che abbiamo perso per colpa dell’elettricista o del bidello che non ha oscurato bene la finestra della palestra?”. “Ragazzi, si deve rischiare. Non si può avere insieme un lavoro alle poste e la vita spericolata di Vasco”.
Velasco è la tempesta perfetta che tutti vogliono, è la rivoluzione a lungo sognata
Dai politici, agli appassionati, ai dirigenti sportivi anche se, spesso, solo a parole. Lui parte dallo sport per arrivare altrove, fa dei giri immensi che poi ritornano, uccide la cultura dell’alibi, applica gli aneddoti del palleggiatore e dell’opposto alle grandi storie della vita e viceversa. Vince tutto con il punto nero dell’Olimpiade, 3-2 con gli arancioni nei quarti a Barcelona, 3-2 più doloroso stesso avversario nella finale di Atlanta ’96. Non se ne fa un cruccio o forse sì, lascia perché è giusto così, i media lo strattonano, la pressione lui la sa gestire ma l’ambiente no. “Stasera Velasco contro la Jugoslavia”, “Test per Velasco verso i mondiali”: una personalizzazione sciocca, momento di passare la mano e provare nuove strade, meglio se non asfaltate.
Il decalogo di Julio
Allena un po’ ovunque, dove ci sono montagne da scalare e fascino (l’Iran, per dire), poi dirigente nel calcio miliardario dei Cragnotti e dei Moratti, ma con la curiosità dentro per parlare di altro e del contrario. Come arrivare ai risultati, motivare il gruppo, crescere nel lavoro, essere esempio. Ha un suo decalogo che ora è sulla parete di uffici e palestre di mezza Italia per riassumere il divino pensiero.
Dieci punti per comprendere il segreto della meravigliosa dodicesima medaglia d’oro della nostra Olimpiade? Non credo, non basta. Dicono meglio diciotto set vinti su diciannove, cinque azzurre nel sestetto ideale del torneo, Paola Egonu MVP e la magia del doppio cambio, Antropova martello aggiunto, Myriam Sylla leader poliedrico, le mazzate di Cate Bosetti, Moki De Gennaro libera di volare ed i muri di capitan Danesi e Sarah Fahr che sono opere degne dei colori di Banksy.
Nessun segreto insomma o, se vogliamo, tredici segreti da custodire, improvvisare come un passo di tango.
Decide Marlon Julio: camminata, baldosa o salida basica. Decide Gandalf Julio: saggio, mago o angelo.
Decide Socrate Julio: superare il proprio limite, poi la difficoltà, infine l’avversario.