Mater artium necessitas: proverbio latino che si può tradurre con “La necessità è la madre delle abilità”, o anche con il Machiavellico “Di necessità virtù”. Sono tutti modi di dire che sottolineano come in caso di necessità, di situazioni svantaggiate, l’essere umano trovi soluzioni ingegnose per cambiare la propria condizione. Questo è ciò che il padre di Willie Hoppe deve aver pensato quando per la prima volta fece avvicinare il figlio al tavolo da biliardo.
Il resto è, ancora, storia.
Lontano dalle luci
Willie Hoppe viene al mondo l’11 Ottobre 1887 a Cornwall-on-the-Hudson, Stato di New York, in una famiglia di umili origini. Il padre lavora in un albergo, dove decide di insegnare al figlio come giocare a biliardo, in modo tale da poter racimolare qualche soldo. Da subito il ragazzino mostra un talento fuori dal comune. Ha solo otto anni quando il padre vede in quelle sue prime batture un potenziale guadagno e così inizia a motivarlo così da indirizzare la sua dote verso una promettente carriera.
Non aveva visto male il padre. A 19 anni, il 15 Gennaio 1906, Willie Hoppe arriva alla fama mondiale vincendo contro il campione francese Maurice Vignaux, più che sessantenne, in uno scontro tenuto al Grand Hotel di Parigi, arbitrato dal conte de Drée, una delle figure di spicco del biliardo francese.
Sebbene a metà partita Vignaux sembrasse essere in vantaggio, Hoppe riuscì a cambiare le sorti della sfida, tornando a casa con 5.000$ e una vita da campione davanti. Talmente crebbe la sua fama che pochi anni dopo, nel 1911, venne anche invitato dal presidente degli Stati Uniti William Taft per dare una dimostrazione alla Casa Bianca.
Non solo campi verdi
Hoppe è inarrestabile nel suo sport. Durante la sua carriera innumerevoli sono i trofei e i riconoscimenti che può vantare. Le sue dimostrazioni, poi, con la sua capacità di eseguire colpi molto complessi, sono sbalorditive: a lui riesce facile persino il “massè”, che consiste nel colpire la palla e farle fare una rotazione così forte da farla tornare indietro non appena colpita la sponda. Ad altri non basterà una vita per riuscirci.
Potrebbe forse bastare, ma non è questo il caso.
Il biliardista trova spazio anche nel mondo dello spettacolo, partecipa a spot pubblicitari e fa piccole comparsate in alcuni film. Nel 1946 inoltre la rivista Popular mechanics gli dedica un lungo articolo corredato di foto stroboscopiche che mostrano le traiettorie dei suoi colpi; uno spettacolo nello spettacolo. Per la maggior parte della sua carriera Hoppe ebbe come sponsor la Brunswick Balke Collender Company, ai tempi un gigante di tavoli da biliardo, stecche e accessori che lo fece diventare il suo volto vincente.
Chiudere in grande stile
Tutte le storie hanno una fine, così anche quella tra Willie Hoppe e il biliardo.
Nel 1954 si ritira dalla carriera agonistica e decide di ritirarsi a Miami, dove finalmente si concede qualche birra derogando solo ora al consiglio del padre che gli aveva detto di evitare l’alcol.
Il primo febbraio 1959 sui tavoli e nelle sale da biliardo cala il silenzio; Willie Hoppe non c’è più. La sua lunga vita piena di viaggi e vittorie rimane però scolpita nella memoria di molti, soprattutto del nipote Gerard Holton, figlio di Irma Hoppe, la sorella minore di Willie, che aveva un rapporto molto stretto con lo zio e che descrive come un gentiluomo, amichevole e cortese.
Mister Billiards, soprannome di Hoppe, vive anche nel ricordo di altri colleghi e amici, come il campione di pool americano Dan McGoorty, che ne ricorda l’eleganza con cui si presentava ad ogni partita, perfetto nel suo smoking.
Ad oggi i 51 titoli mondiali di Willie Hoppe rimangono imbattuti.
Non male per un ragazzo di provincia.