Giovanni Raboni, poeta, critico letterario e traduttore, amava il calcio e tra i ricordi che gli hanno fatto compagnia per tutta la vita ha sempre citato il suono di un colpo di testa di Angelillo. Stumpf, l’impatto del pallone con la fronte del centravanti argentino diventò una sorta di imprinting destinato a conficcarsi nella sua mente in modo indelebile. In compagnia dell’amico e anche lui poeta Vittorio Sereni, per molti anni ha seguito le partite dell’Inter. Tutte le domeniche si davano appuntamento sotto casa e, con l’immancabile cuscinetto nerazzurro sotto il braccio, si avviavano verso le vecchie gradinate in cemento di San Siro.
La sua passione calcistica la possiamo ritrovare in Zona Cesarini, una poesia nella quale descrive un gol sventato nell’ultima convulsa azione di una partita e lo stesso gol invece realizzato negli schemi preparati dal Mister il giorno prima nella quiete del ritiro quando tutto sembrava possibile. Nel calcio come nella vita, quello che poteva essere e non è stato.
Zona Cesarini
Il tiro, maledizione, ribattuto
sulla linea nell’ultima convulsa
mischia a portiere
nettamente fuori casa, fuori causa, col dito
mignolo, con la spalla, con l’occipite, con
la radice del naso
dell’avversario accorso, guarda caso,
da metà campo – o forse (chi capiva
più niente con quel buio) dal compagno
che va in cerca di gloria
a scapito evidente degli schemi
non più tardi di ieri ribaditi
nella fantastica pace del ritiro
dal mister quando ancora
tutto, anche vincere, anche
azzeccare questo tiro teso, radente, tra decine
di gambe e lentamente
spalancando la bocca
correre verso il centro, rotolarsi
nell’erba, in lenta muta sfida stendere
le braccia al cielo era possibile…
(da Giovanni Raboni, Nel grave sogno, Mondadori, Milano 1982)