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Vujadin Boškov, oltre gli aforismi

Al di là delle citazioni che ne ricordano il tratto ironico e comunicativo, la storia della carriera dell’allenatore Vujadin Boškov racconta tanto della sua cultura del lavoro e dei successi ottenuti. I successi non solo di un tecnico di valore, ma di una persona perbene.
Vujadin Boškov

A chi gli chiedeva un ricordo del suo maestro appena scomparso, nel 2014, Gianluca Vialli non mancava di sottolineare il profilo di «persona perbene», prima di soffermarsi sulle sue «competenze eccezionali» dal punto di vista tecnico, al di là delle battute che ne hanno sancito in maniera indiscussa la notorietà, fra gli addetti ai lavori e i semplici appassionati. In effetti, lo storico ex centravanti blucerchiato rappresenta probabilmente il terminale offensivo di un gruppo di lavoro, fra i più validi e collaudati, che hanno avuto al proprio timone Vujadin Boškov.
Una guida in grado di operare sulle individualità di quell’insieme di talenti più o meno grezzi, agevolarne la crescita qualitativa e metterli al servizio di un progetto comune vincente.
Un uomo votato al calcio e ai rapporti umani, dunque, destinato alle incursioni sul terreno della comunicazione attraverso il ricorso ad autentici aforismi, ormai sedimentati nell’immaginario, quasi alla stregua di un giro di campo defatigante. Come un momento naturale di decompressione, una volta assorbito lo stress di un allenamento prima di un match importante.

La carriera da calciatore

Di partite contro avversari blasonati, la carriera del centrocampista classe 1931 Boškov da Begeč, Jugoslavia, è densa.
Gli anni nel campionato balcanico, nella decade dei Cinquanta, gli servono a maturare fra le file del Vojvodina di Novi Sad. Gli almanacchi di quelle stagioni calcistiche ospitano la conquista del titolo da parte delle solite squadre Hajduk Spalato, Stella Rossa Belgrado, Dinamo Zagabria. La saggezza tattica di Vujadin si forgia probabilmente in un campionato dove le gerarchie sono ben delineate. Eppure, il suo apporto sulla linea mediana del campo è notevole fin dalla giovanissima età, se si considera che viene convocato nella sua nazionale, appena ventunenne, per disputare l’undicesima edizione del torneo olimpico di calcio, a Helsinki, nell’estate del 1952.

I Brasiliani d’Europa approderanno in finale, costretti ad arrendersi soltanto all’Ungheria di Ferenc Puskás e Nándor Hidegkuti. Dopo il decennio jugoslavo, e in virtù della novità di potersi trasferire all’estero, arriva alla Sampdoria, allenata dall’ex campione del mondo Eraldo Monzeglio.
Il piazzamento sarà decimo in serie A, ma Genova diventerà un luogo familiare per Boškov, che a distanza di un quarto di secolo vi tornerà per sedere in panchina e per scrivere un significativo pezzo di storia.

L’anno successivo segna il passaggio in Svizzera, nello Young Fellows, per concludere una carriera bersagliata da infortuni.

Vujadin Boškov
(Gianluca Pagliuca, Gianluca Viali, Vujadin Boškov e Roberto Mancini. Gli anni d’oro della Sampdoria)

Lo stile da allenatore

«Se mettessi in fila tutte le panchine che ho occupato, potrei camminare chilometri senza toccare terra», una massima che racchiude il senso di un mestiere con pragmatismo e poesia. Dal rientro a Novi Sad per far vincere il primo tiolo alla sua Vojvodina nella stagione 1965/66, alla guida della nazionale jugoslava, in lizza per le qualificazioni agli Europei, in programma in Belgio. E poi, fuori dai confini di patria alla ricerca di un approccio internazionale.
In Olanda, con il Den Haag, con cui vince la Coppa d’Olanda, e con il Feyenoord. In Spagna Vujadin Boškov è sulla panchina del Real Saragozza, del Real Madrid e dello Sporting Gijón. Alla guida della compagine madrilena, conquista un campionato e due coppe di Spagna, oltre a raggiungere una finale di Coppa dei campioni. L’avventura in terra italiana è quella più ricca di gratificazioni personali e professionali. Ascoli, Sampdoria, Roma, Napoli e Perugia, sono le squadre a cui lega il suo nome. Ma è la Genova blucerchiata, probabilmente, dove avviene una sorta di magica saldatura.

Vujadin Boškov Roma
(Vujadin Boškov. L’anno con la Roma)

L’isola felice

Alla Samp del presidente Paolo Mantovani Vujadin Boškov resta sei anni, a cavallo fra gli Ottanta e i Novanta.
Ci ritorna nella stagione 1997/98, subentrato a César Luis Menotti. Durante la sua permanenza, la squadra ligure è un progetto che compie un progressivo salto di qualità. Un cantiere che, partita dopo partita, fortifica le sue fondamenta fino a edificare un’architettura da ammirare in Italia e in Europa.
Gianluca Vialli, Pietro Vierchowod, Roberto Mancini, i pilastri sui quali impostare il gioco. Gianluca Pagliuca, Toninho Cerezo, Luca Pellegrini, le altre colonne che rinforzano la struttura. Vujadin è bravo a miscelare un gruppo dove convivono gregari e fantasisti. Un puzzle dove non si risparmiano uomini dai polmoni generosi sia sulle fasce, come Moreno Mannini o Attilio Lombardo, sia in mezzo al campo, come Luca Fusi o Fausto Pari.
Quel ciclo di atleti porterà in bacheca uno storico scudetto, nella stagione 1990/91, due Coppe Italia, una Supercoppa italiana, una Coppa delle coppe. Senza tralasciare una finale in Coppa dei campioni persa ai supplementari, e una in Coppa delle coppe, sfumate entrambe contro il Barcellona. A parte i trofei, tuttavia è l’armonia con la palla che trasmette la squadra, a impressionare gli spettatori. Da fuori il clima appare disteso, probabilmente a causa della forza motivazionale impressa dal mister, che stempera eventuali tensioni con battute che riportano uno sport come il calcio, preso troppo sul serio, al suo essenziale.
Frasi che ancora oggi hanno il potere di rimbalzare sul web, come meme ante litteram, strappando naturalmente un sorriso.

Vujadin Boškov e Roberto Mancini
(Roberto Mancini e Vujadin Boškov)

Il frasario di Vuja

Scorrendo le sue citazioni più gettonate, balza agli occhi un’intenzione ricorrente, quasi spiazzante, di chiudere lì la questione.
Senza strascichi o dietrologie. «Più bravi di Boškov sono quelli che stanno sopra di lui in classifica» non lascia adito a repliche. «Se vinciamo siamo vincitori, se perdiamo siamo perditori» restituisce quasi una simmetrica ovvietà, con tanto di suggestivo richiamo a un lessico ariosteo. Fino alla madre di tutte le espressioni perentorie, l’inappellabile «rigore è quando arbitro fischia». La natura è una dimensione che conquista sempre maggiore spazio nel linguaggio di Vuja, se si pensa a Ruud Gullit «come cervo che esce da foresta». Eppure, a smentire un’interpretazione della sua prosa bucolica come un rifiuto netto del progresso, giunge fulminea l’asserzione che «un grande giocatore vede autostrade dove altri solo sentieri». L’ironia predomina su tutto, «meglio perdere una partita 6-0 che sei partite 1-0». Forse si ferma soltanto davanti all’amore, «Non ho bisogno di fare la dieta, ogni volta che entro al Marassi perdo tre chili». Le declinazioni del fatalismo, «pallone entra quando Dio vuole» oppure «gli allenatori sono come le gonne: un anno vanno di moda le mini, l’anno dopo le metti nell’armadio», sembra ineluttabile, ma cela un’umana voglia di ricominciare. «Dopo pioggia viene sole».

Vujadin Boškov Jugoslavia
(Vujadin Boškov alla guida della Nazionale Jugoslava)

L’ultima panchina

Nel 1999, alle soglie del campionato europeo in Belgio e Olanda, Vujadin Boškov dà la disponibilità alla Federcalcio jugoslava di assumere l’incarico di commissario tecnico.
Lo sport è l’antidoto migliore per superare le divisioni etniche, le guerre civili, i bombardamenti che hanno funestato il decennio finale del Novecento. C’è una competizione da raggiungere e una rosa che, seppur priva delle sue componenti croate, macedoni e slovene, ha le qualità per far bene.
Nel gruppo 8 delle qualificazioni, la nazionale di Vujadin chiude al primo posto, davanti a Irlanda, Croazia, Macedonia e Malta. L’Europeo regala un pareggio con la Slovenia, una vittoria con la Norvegia e una sconfitta con la Spagna. A Rotterdam, i quarti indicano uno degli avversari più ostici. L’Olanda polverizza 6-1 la squadra di Dragan Stojković e compagni.
Per Vujadin Boškov, la cui preoccupazione più grande è stata la guerra, è l’ultima panchina della carriera. Scompare a Novi Sad nell’aprile del 2014, all’età di ottantadue anni

Giuseppe Malaspina giornalista con la passione per il calcio e per le storie. Scrive sul blog www.salvataggisullalinea.it. Ha collaborato con il Resto del Carlino.

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