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Erik Weinhemayer. L’Everest senza limiti

"Sono in alto. Riesco a sentire il vento e il freddo che mi sferzano il volto. Tocco la roccia, la sento viva sotto le mie mani perché dove non arrivano gli occhi è la terra che mi restituisce sensazioni". Erik perde la vista da bambino, ma nel 2001, a 33 anni, è il primo alpinista non vedente a conquistare l'Everest.
Erik Weinhemayer.

Erik Weinhemayer da quando ha memoria si è fatto una promessa: la malattia non lo avrebbe privato della vita che da sempre desidera. A soli tre anni gli viene diagnosticata la retinoschisi, cioè la separazione della retina in due lamine che molto presto lo rende completamente cieco. Ma questo non è un problema.
A soli 14 anni diventa un wrestler formidabile e rappresenta il Connecticut al National Junior Freestyle Wrestling Championship in Iowa. A questo affianca anche un’ardente passione per il rock climbing, di cui apprezza particolarmente la materialità, riuscendo più di altri a sentire con le mani e i piedi il percorso da seguire. È come se fosse lì, pronto a dispiegarsi per lui. Si diploma al Boston College e presto trova lavoro come insegnante e wrestling coach alla Phoenix Country Day School. Ma tutto cambia dopo la sua ascensione del Denali, il punto più alto del Nord America: sente che l’avventura lo chiami.
E lui deve rispondere.  

Erik Weinhemayer.

“What’s Within You Is Stronger Than What’s In Your Way” 

Fonda “No barriers”, un’organizzazione che ispira a diventare un vero e proprio movimento con lo scopo di ispirare le persone a superare le barriere della propria vita con uno spirito pionieristico. Erik e le sue imprese sono il volto di questo movimento.  La più celebre e acclamata è sicuramente la scalata dell’Everest nel 2001. Erik è stato il primo alpinista cieco ad aver completato la salita.

“A Journey to climb farther than the eye can see”

La spedizione di cui faceva parte Weinhemayer era organizzata dalla Federazione nazionale dei Ciechi Everest. La pianificazione della scalata durò due anni, durante i quali l’atleta seguì un piano rigoroso di allenamento, focalizzato su resistenza, forza e capacità di adattamento. Oltre a questo affiancò anche un addestramento tecnico più improntato sul perfezionamento delle tecniche di arrampicata su roccia e ghiaccio. Un’altra delle sfide più importanti fu quella dell’acclimatamento: Erik infatti prima di tentare la sfida, effettuò una serie di scalate a quote sempre più elevate per fare in modo tale che il suo corpo si iniziasse ad abituare a quel tipo di altitudini e alla privazione d’ossigeno.

L’avventura dei record, oltre ogni pregiudizio

Il gruppo era composto da dieci scalatori ed otto guide Sherpa, avrebbero attaccato la montagna dal versante nepalese. Insieme lui anche un altro compagno insolito: Sherman Bull, 64enne, allora l’alpinista più anziano ad attaccare la montagna più alta del mondo. Dopo una settimana raggiunsero il campo base a 5,363 metri d’altezza. Da lì la spedizione continuava verso il camp II, ma non prima di affrontare l’incubo di tutti gli alpinisti non vedenti: le cascate Khumbu. Si tratta di una cascata di ghiaccio che si forma sul ghiaccio Khumbu dove diversi crepacci si aprono in maniera inaspettata, affiancati da torri di ghiaccio famosi per crollare improvvisamente. Erik e la squadra impiegarono 13 ore per superare questa parete della montagna. Weinhenmayer lo definì “il giorno più complicato della mia vita”.

Erik Weinhemayer

Un passo, sei respiri

Il campo II era situato a circa 6.5000 metri, considerato uno dei punti più complessi da raggiungere proprio a causa della sua altitudine e delle cascate che lo proteggono. Da lì si avvista il Col del Sud, punto cruciale che spacca in due la montagna, da lì si arriva alla parte più alta e ancora più impervia della cima. Infatti il passo successivo è Hillary Step: tratto roccioso verticale di circa 15 metri.
Erik ricorda come da lì la vetta disti solo una mezz’ora. Il tratto non è lungo, ma la mancanza di ossigeno rende l’impresa quasi insostenibile, tra un passo e l’altro infatti deve fare 6 respiri. Sente arrivare la conclusione di questo viaggio e ripensa a tutto quello che è venuto prima, così come ai limiti che da sempre supera. Dopo l’ultimo tratto, superato il ponte di ghiaccio che da Hillary Step porta alla somma, sono sulla cima del mondo.
You showed them”, continua a ripetere la guida.
Erik è senza fiato, senza parole. Non ci sono più limiti.
Una squadra di alpinisti ciechi è in vetta al mondo.
Dopo 3 mesi sulla montagna, esce il sole.

Erik Weinhemayer.

Ciò che viene dopo

Da quel momento Erik non si è mai fermato. H pubblicato un libro raccontando la sua storia da cui è poi stato tratto un film. Nel 2002 completa le Seven summits, le 7 cime più alte per ogni continente. Stabilisce anche qui il record per la prima persona cieca a raggiungere questo traguardo.
Erik insegna dunque a non fermarsi a ciò che non possiamo fare, ma a considerarlo come una sfida, un motivo per alzare ancora di più l’asticella.
Non ci sono barriere.
Mai.

Rachele Colasante giornalista pubblicista, laurea in Lettere, master in sostenibilità alla LUISS Buisiness School, studia Scienze Umane per l'Ambiente a RomaTre. Da sempre incuriosita dalle storie, cerca di scrivere la sua al meglio. Ancora non sa dove la condurrà il suo percorso, ma per ora si gode il paesaggio.

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