Noi boomer li ricordiamo. Immancabilmente bianchi, quasi sempre panciuti prima che le linee si squadrassero, maniglione e un piccolo vano interno per fare il ghiaccio e surgelare qualcosa. Vano piccolo però, negli anni sessanta la spesa era pressoché quotidiana, il negozio sotto casa la regola e il carrello del supermercato un’eccezione. Anche se comprato a rate, il frigorifero nel panorama domestico era in qualche modo rassicurante. Molto più di semplice complemento funzionale, il frigorifero era un vero e proprio media della modernità, carico di significati emotivi, spesso punteggiato dai plasteco regalati con le confezioni dei formaggini.
Una piccola rivoluzione il frigorifero.
Una rivoluzione con un nome e un cognome, Giovanni Borghi, e un marchio: Ignis.
Giovanni Borghi nasce già adulto
Importante, segnato, verace. Le fotografie di Giovanni Borghi ce lo restituiscono con un viso vitale e occhi accesi che lasciano intendere una mente sveglia. Un viso sul quale la voce roca di cui raccontano, pare di sentirla solo a guardarlo. Un viso che ai più potrebbe sembrare nascondere il cuore. Ma in fondo il cuore è un esercizio privato, esibirlo non è sempre richiesto, qualche volta è persino non gradito. Non ho certezze, ma probabile che per pudore di sentimento la pensasse proprio così.
Giovanni nasce nel 1910 a Milano, quartiere Isola, terzo di quattro figli. Prati, orti, case operaie di ringhiera, fabbriche, ligera. Per dare un’idea, nelle giornate di rivolta del maggio 1898 contro il rincaro del pane, Isola è l‘unico quartiere dove i soldati di Bava Beccaris non riescono a entrare.
Papà Guido è un artigiano di quelli di una volta. Mani e fiuto, lavoro come religione, ma anche passioni che non ti aspetti. La musica, ad esempio, da ascoltare, ma anche da suonare. Una passione che smessi i panni dell’officina elettromeccanica che ha avviato, lo porta a suonare il pianoforte al cinema Pastrengo per accompagnare la proiezione dei film al tempo muti.
Le passioni sono sangue e memoria
Giovanni studia quanto basta, finisce le elementari e poi via a lavorare in officina, ma ha la stessa passione del padre. Anche lui, poco più che bambino, va a suonare nei cinema.
Di Giovanni Borghi bambino non ho trovato fotografie. Lo immagino facile, però. Lo immagino braghette corte, scarpe sempre quelle, mani che imparano il mestiere, sinapsi che fanno reti impensate e che lo preparano per quello che diventerà.
Ecco, il punto è questo.
Giovanni Borghi sarà un innovatore, un visionario, un uomo avanti nel tempo che nelle case degli italiani porterà prima fuoco con i suoi fornelli a gas, e poi ghiaccio con i suoi frigoriferi.
Carattere ruvido, modi burberi, dice qualcuno. Industriale paternalista, dice qualcun altro ancora.
Generoso, dicono però tutti.
Facciamo un piccolo passo indietro
Negli anni trenta l’officina di famiglia va bene e procura un certo agio; macchina, casa per la villeggiatura a Comerio. Poi arriva la guerra. Nel ’43 Milano è un cratere. Ad agosto l’officina prima è bombardata e poi, per quel che ne rimane, saccheggiata.
Papà Guido sfolla la famiglia e porta tutti a Comerio. La vita ricomincia da qui.
La Guido Borghi & Figli inizia a produrre fornelli elettrici da cucina. Nel 1944 la ditta diventa Officine Elettrodomestiche Ignis di Guido Borghi & Figli, la guerra finisce, i fornelli diventano presto a gas, un’innovazione che scuote il mercato,l ’attività funziona. I Borghi, padre e figli, quando basta lavorano quattordici ore al giorno.
Nel 1950, sede a Gavirate e capitale sociale di un milione di lire, nasce la Società Industrie Refrigeranti Ignis; la rivoluzione inizia così. Giuseppe, il più giovane dei figli, e papà Guido non la vedranno tutta: il primo muore schiantandosi in auto contro un tram nel 1954, il secondo se lo porta via un ictus nel 1957.
Giovanni prende in mano l’azienda e accompagna l’Italia nella modernità.
A metà anni ‘60 la Ignis conta oltre 7.000 dipendenti, tre stabilimenti, sedi commerciali in tutto il mondo, fattura circa 40 miliardi l’anno e produce qualcosa come 8.000 frigoriferi al giorno. Nel 1965 il Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat visita Cassinetta e rende merito a una delle più operose industrie italiane, protagonista assoluta della corsa italiana al benessere di massa.
Ovviamente non è tutto
Ė un’idea d’impresa illuminata quella che Giovanni Borghi ha in testa e che tenacemente persegue. Una tradizione italiana seconda a nessuno: Adriano Olivetti, i Piaggio, i Pirelli ne sono solo gli esempi più conosciuti.
Abitazioni, mense, asili aziendali, convitto per gli operai che vengono da lontano, case di riposo per gli anziani. Ai dipendenti della Ignis non manca nulla. Il lavoro per Giovanni Borghi è anzitutto dignità e rispetto. Alla sua Ignis non ci sono vertenze e rivendicazioni, il sindacato non ha cittadinanza e non perché Giovanni lo impedisca, semplicemente non serve. Giovanni gira nelle fabbriche; chiede, ascolta, osserva, vede e provvede. I dipendenti, operai o impiegati che siano, lo considerano una sorta di padre, modi un po’ spicci, ma cuore grande come una casa.
In questo scenario lo sport, per la Ignis, non è un’improvvisazione.
Lo sport d’impresa
Il tema non è particolarmente trattato, ma le imprese hanno fatto più di quanto si pensi per lo sport italiano del ‘900. Prima o poi anche questa storia dovrà essere raccontata.
La Ignis è un caso di eccellenza assoluta anche sotto il profilo sportivo. Ridurne il posizionamento alla semplice dinamica delle sponsorizzazioni sarebbe fuorviante. Certo, la Ignis è stata con ogni probabilità la prima a sposare in maniera sistemica lo sport con la comunicazione e il marketing del prodotto. La prima a comprendere pienamente le potenzialità del testimonial sportivo inserito in un contesto di comunicazione di massa. Questo, però, non spiega tutto. Per provare ad avere una visione d’insieme dobbiamo ricorrere ancora una volta alla personalità poliedrica di Giovanni Borghi, il Cumenda dello sport italiano.
La Casa dell’Atleta
Siamo nella metà degli anni cinquanta. Adiacente allo stabilimento di Comerio, c’è un centro sportivo per i dipendenti. Un classico per chi ha sposato un’idea sociale d’impresa.
Guido “Ciccio” Borghi, figlio di Giovanni, ricorda che fu proprio Antonio Maspes a suggerire al padre di farlo diventare una vera cittadella dello sport dove gli atleti di casa si sarebbero potuti ritrovare e allenare.
Nasce così la Casa dell’Atleta, primo esempio di centro sportivo aziendale residenziale polivalente, moderno, funzionale, confortevole. Man mano che le attività sportive del gruppo si espandono, la Casa dell’Atleta ne diventa il punto di riferimento. Ci si allena, naturalmente, e il clima è permeato da uno spirito goliardico che salda rapporti che, spesso, dureranno una vita.
Testimone di prima mano
Domenico “Nico” De Lillo , pistard con titoli italiani, medaglie e tre anni di maglia Ignis, di questo spirito mi racconta ancora divertito.
“La Casa dell’Atleta era un posto straordinario” mi dice “Ci allenavamo, ognuno per la propria specialità, e poi c’era la vita in comune. Noi ciclisti, Maspes in testa, a nostro rischio prendevamo sempre in giro i pugili. Parliamo di gente come Mazzinghi, Loi, D’Agata. Maspes poi, che di natura era a dir poco esuberante, prendeva sempre in giro D’Agata e D’Agata glielo lasiava fare perché si divertiva anche lui. Un giorno sapevamo che sarebbe arrivato Vittorio Strumolo, gestore del Vigorelli e importante organizzatore di incontri di pugilato. Allora io dico, tiriamo una 500 lire d’argento in acqua, gliela indichiamo, lui si sporge e noi gli facciamo la festa. Ando così. Strumolo arriva vestito di tutto punto, borsa in pelle con dentro contratti vari da far firmare ai pugili. Gli diciamo guarda lì che c’è, lui guarda, si sporge e appena è di spalle io, Maspes e Ogna lo lanciamo in acqua. Il Commendatore ci fece chiamare subito, ci mise in fila e ci fece una ramanzina che ancora si sentono le urla. Dopo, secondo me, avrà riso anche lui”.
Giovanni Borghi e Antonio Maspes
Con alcuni dei suoi atleti, Borghi aveva un rapporto speciale.
Antonio Maspes, re del Vigorelli, pistard sette volte campione del Mondo, è con la Ignis dal ’58 al ’68 e cinque dei suoi titoli li vince con la maglia gialla di Borghi. Un grandissimo Maspes. Carattere effervescente, innamorato della vita, i due sono uniti da carattere passionale e anche da complicità: amanti del casinò, saranno spesso insieme a Montecarlo e a Campione d’Italia che, da Comerio, raggiungono con una mezz’ora di macchina. Quando Borghi vinceva la fortuna baciava anche i suoi accompagnatori perché immancabilmente, chiusi i giochi, regalava fiches milionarie a chi era con lui.
Giovanni Borghi e Sandro Mazzinghi
Sandro Mazzinghi, sostenuto dalla grande visibilità che il pugilato aveva al tempo e dai suoi titoli mondiali, in tutta la sua carriera è stato sempre e solo sponsorizzato da Borghi e per la Ignis è stato unico ambasciatore nel mondo.
“Papà aveva un rapporto speciale con Borghi” mi dice il figlio David “erano amici, profondamente amici. Ricordo come fosse ieri la telefonata che informava papà della morte di Borghi. Fu un colpo basso, uno di quelli che non si dovrebbero mai dar, ma che sul ring, come nella vita, prima o poi arrivano. Ricordo papà sofferente, addolorato. Dei tanti momenti della vita sportiva che ebbero in comune, mi piace ricordare i match con Ralph Dupas. Mio padre incontra l’americano al Vigorelli il 7 settembre 1963, lo batte e diventa campione del mondo dei pesi medi junior. La rivincita è a Sidney il 2 dicembre. Papà vince nuovamente per KO tecnico e mantiene il titolo. L’ufficio studi della Ignis calcolò che la visibilità mondiale di questi incontri fece vendere, solo negli Stati Uniti, un milione di frigoriferi. Gli Stati Uniti, dico, la patria dei frigoriferi, non un posto qualunque. In ogni caso tra papà e Borghi c’era un rapporto di affetto sincero e reciproco. La generosità di Giovanni Borghi non l’abbiamo mai dimenticata”.
Pugili e ciclisti
Grazie a quella goliardia che segnava i soggiorni alla Casa dell’Atleta di Comerio, rapporti speciali si stringono anche tra gli atleti.
Un colorito episodio tra tutti vede insieme proprio pugili e ciclisti, nello specifico Antonio Maspes, Sandro Mazzinghi e Mario D’Agata. Sulla via del ritorno dopo una serata organizzata da Borghi in un ristorante fiorentino, i nostri si imbattono in una macchina di ragazzi esuberanti che prima li ingaggia in velocità e poi costringe Maspes, che guida la 1100, ad andare fuori strada. L’esito dell’incidente è una scazzottata stradale ovviamente molto sfortunata per i ragazzi scanzonati e alla quale anche Maspes, ciclista tra pugili, non mancò di far valere il suo bel contributo.
Pallacanestro Ignis Varese
Con la Ignis, Varese diventa una capitale della pallacanestro italiana.
Fondata nel 1945, la Pallacanestro Varese fa buona vita, ma il salto di qualità è nel 1956. Borghi scende in campo, ne diventa il presidente e inizia l’epopea della giallo-blu Ignis Varese.
Negli anni ’60 arrivano tre scudetti, una Coppa Intercontinentale e una Coppa Italia. Un quarto scudetto, quello del 1965-66, è revocato a favore della Simmenthal Milano – fortissima la rivalità tra le due squadre che darà vita a incontri epici – per una vicenda legata all’utilizzo di Tony Gennari. Seppur con passaporto italiano in virtù dell’origine, Gennari fu considerato un secondo straniero in campo, cosa allora non permessa dal regolamento che ne stabiliva la presenza in un solo giocatore. I suoi 10 minuti di gioco nella finalissima con la Simmenthal Milano capovolsero a tavolino il risultato del parquet.
Grandissima la storia Ignis degli anni ’70, di cui Borghi fu spettatore solo in parte. Sono ancora sue le Coppe dei Campioni vinte nel 1970, nel 1972 e nel 1973; suoi gli scudetti del 1970, del 1971 e del 1973; sue le Coppe Italia del 1970, del 1971 e del 1972; sue le Coppe Intercontinentali del 1970 e del 1972.
Protagonisti dei successi Ignis allenatori come Nico Messina, Aza Nikolić – con lui Borghi aveva un rapporto di stima un po’ fredda, “l’è un comunist” diceva – e in extremis Sandro Gamba che arriva nel 1973.
Tanti campioni in campo: Dodo Rusconi, Aldo Ossola, Ottorino Flaborea solo per dirne alcuni. Nota a parte per Dino Meneghin, forse il più grande di tutti in assoluto, gigante per dote e carattere che rimarrà a Varese dal 1966 al 1981.
Nella storia del rapporto di Borghi con la pallacanestro, da citare altri due episodi.
Il primo riguarda la fugace sponsorizzazione da parte di un’azienda del gruppo, la Algor, della seconda squadra di pallacanestro di Varese, la Robur et Fides.
Il secondo, più fortunato, riguarda la Partenope Napoli Basket che giocò il campionato 1967/68 come Ignis Sud. Non marginale per la Ignis Sud la conquista, in quella stagione, della Coppa Italia e del secondo posto in campionato.
Canottieri Ignis
Nel 1960 anche il lago di Varese si punteggia di giallo-blu. Inizia così la storia della Canottieri Ignis e, non c’è da stupirsi, anche questa diventa una storia che si fa notare da subito.
Primo atleta tesserato Stefano Martinoli, reduce dalle Olimpiadi di Melbourne del 1956 che, nel 1962, assegna alla società il suo primo titolo italiano, conquistato con Vincenzo Prina nel doppio senior A. Tra il 1962 e il 1964 Mario Petri e Paolo Mosetti furono invece protagonisti sulla scena nazionale e internazionale nel due senza. Successi anche per un otto con, di cui se ne trova traccia come otto pigliatutto. Chiuso il periodo Ignis, la Canottieri Gavirate ne continuerà l’acqua diventando una delle società più premiate nel panorama nazionale.
Varese calcio
Poteva mancare il calcio? No, non poteva. Storia antica quella del Varese Football Club, 1910, calcio eroico, sodalizio stile inglese come si usava all’epoca. Colori sociali bianco e viola, prima, bianco e rosso, poi.
Giuseppe Borghi fa una prima esperienza da presidente nel 1950, ma dura poco, qualche mese. Torna, però. Torna nel 1965, porta con sé un manager di lunga e provata esperienza nel basket come Alfredo Casati e cambia registro a tutto. Rimarrà presidente fino al 1967, poi passerà il testimone al figlio Guido che manterrà la carica fino al 1978. Negli anni della Ignis il Varese giocherà sette stagioni di serie A, dopo si avvierà verso un lento declino sino alla liquidazione del 2019.
Con i Borghi vestono la maglia bianco rossa giovani che faranno la storia del calcio italiano come Claudio Gentile, Roberto Bettega e Pietro Anastasi, ma anche gente di esperienza come Armando Picchi.
Epica per la squadra e la città la stagione 1967/68: a lungo seconda in classifica, il Varese chiuderà il campionato al settimo posto togliendosi tante soddisfazioni. Non ultima la roboante vittoria contro la Juventus, da cui alla fine del campionato vinto dal Milan la distanzieranno solo quattro punti. Del 5-0 inflitto agli zebrati il 4 febbraio al Franco Ossola ancora se ne parla. E ancora si parla della tripletta, in quell’occasione, di un giovane e semi sconosciuto centrocampista di grande mobilità, Pietro Anastasi. Gianni Agnelli ha occhio, il futuro di Anastasi non gli sfugge; a fine stagione lo comprerà per 660 milioni di lire. In un tempo in cui le plusvalenze non si sapeva cosa fossero, il cartellino di Anastasi è pagato in parte in contanti e in parti in compressori per i frigoriferi Ignis.
Se non formidabili, irripetibili quegli anni.
Ancora di pugili
Il pugilato non ammette fronzoli. I colpi sono duri, incassi e li dai. La vita sul ring è più di una metafora. Il pugilato è sacrificio, dedizione, ma anche visione e studio di sé stessi e dell’avversario. Per il carattere di Giovanni Borghi qualcosa in più di un’affinità elettiva. In effeti sembra che al pugilato Giovanni si avvicini nel 1954, dopo la morte del fratello, iniziando a frequentare alcuni pugili suoi amici. Di certo c’è che nelle attività sportive della Ignis, il pugilato è tra la primissime. Così come è certo che la scuderia di pugili della Ignis domina a lungo lo scenario nazionale e primeggia su quello mondiale. Tra i tanti che hanno calcato il ring per la Ignis, un pensiero per Giancarlo Garbelli, pugile a lungo trascurato con i suoi 98 incontri, 14 sconfitte di cui nessuna mai al tappeto.
Campioni a non finire. Di Sandro Mazzinghi già sappiamo, ma anche Duilio Loi e Mario D’agata. E poi Guido Mazzinghi, il fratello di Sandro, Rocco Mazzola, Romano Masitti, Renato Bianchini e gli innumerevoli altri degli anni d’oro del pugilato che riempiva gli stadi quanto una finale di calcio.
Ancora di ciclismo
L’ingaggio della Ignis con il ciclismo inizia con la sponsorizzazione della squadra spagnola al Giro d’Italia del 1955.
È in questa occasione che si cementa il rapporto con Miguel Poblet, due Milano-Sanremo e sedici tappe del Giro d’Italia in carriera. L’anno seguente Borghi fonda il Gruppo Sportivo Ignis e Poblet ne sarà il primo leader.
Di Maspes e De Lillo abbiamo già detto, ma impossibile non citare tra i ciclisti che hanno vestito per tempi più o meno lunghi i colori Ignis, Ercole Baldini, campione italiano, mondiale e olimpico di pista e di strada; Pasquale Fornara, quattro volte campione al Tour de Suisse; Gastone Nencini, il Leone del Mugello, un Giro e un Tour de France; Sante Gaiardoni, pistard velocista, campione olimpico e mondiale, rivale acerrimo di Maspes.
Interessante poi la vicenda del cosiddetto Club dei Moschettieri.
Nel 1961 Giovanni Borghi è ai ferri corti con l’allora Unione Velocipedistica Italiana, poi Federazione, che ostacolava le sponsorizzazioni delle squadre ciclistiche.
Uomo d’impeto, Borghi decide di ritirare la squadra Ignis dalle competizioni. Intercede allora Aldo Zambrini, dirigente della Bianchi, uomo di lungo corso sportivo e indole vulcanica anche la sua. Stessa pasta, con Borghi si capiscono subito. Ignis, Bianchi e Fides danno vita e iscrivono al Giro il Club dei Moschettieri, magliette no logo, biciclette Bianchi senza marchio e praticamente gli stessi corridori di nuovo ingaggiati.
I Moschettieri correranno su strada sino al 1965, mentre su pista i colori Ignis ricompaiono già nel 1962.
Giovanni Borghi l’irregolare
Le storie su e di Giovanni Borghi sono infinite.
La figura che esce dai tratti che ho messo in fila in questa storia è quella di un uomo che ha saputo vivere il suo tempo andando oltre. Un uomo capace di lasciare di sé un segno profondo nel costume e persino nell’immaginario.
Senza fronzoli, essenziale, vero. Nel complicato tentativo di farne sintesi, questo mi sento di dire di Giovanni Borghi.
Qualcuno potrebbe laicamente chiamarle caratteristiche. A scanso di equivoci, per me sono qualità.
Nella vita, nell’impresa, così come nello sport, Giovanni Borghi non voleva solo partecipare, voleva esserci per vincere. Nella sua visione del mondo De Coubertin non ha spazio ideale e oggi, lui che amava chiamare le cose con il proprio nome, al politicamente corretto avrebbe fragorosamente irriso.
Giovanni Borghi è stato un visionario, l’ho premesso.
Per rispetto e con affetto, è doveroso aggiungere che è stato un irregolare.
Anche per questo non posso non volergli bene.
Chiedi chi erano i Beatles
Chiedilo ad una ragazza di 15 anni di età
Chiedi chi erano i Beatles e lei ti risponderà
La ragazzina bellina col suo naso garbato
Gli occhiali e con la vocina
Ma chi erano mai questi Beatles? Lei ti risponderà
Nel 1984 così cantano e scalano le classifiche gli Stadio.
Di Giovanni Borghi, licenza elementare, musicista, industriale, cavaliere della Repubblica, ingegnere honoris causa, mecenate dello sport, oggi ne sanno in pochi. Domani saranno ancora meno.
Un Paese che lascia andare nell’oblio i propri uomini migliori e le loro storie non ha futuro.
Questa non è solo una storia, questo è un testimone che passa di mano.