Figlio di contadini. Anche tu Dorando, proprio come Carlo Airoldi. Qualche anno prima di te in quanto a maratone anche lui era forte.
Figlio di contadini che aprono un negozio. Proprio come Carlo Airoldi. Di frutta e verdura i tuoi, di ferramenta i suoi.
Un’Olimpiade tradita. Quella di Carlo Airoldi la prima, nel 1896 ad Atene. La tua quella di Londra, la quarta, nel 1908.
La storia di Carlo Airoldi non la conoscono in molti, la tua praticamente tutti.
Potenza dell’immagine. Le foto raccontano tutto: l’arrivo, lo smarrimento, lo sfinimento, l’aiuto fatale, la medaglia persa, la vita, forse, salvata.
Dorando Pietri perde, ma vince. Cosi titolarono allora i giornali e così continuano a titolare quando si parla di te mostrando sempre le stesse foto. Non va bene.
C’è un’altra storia di Dorando Pietri, una storia che è giusto ricordare a chi l’ha dimenticata e raccontare a chi invece non la conosce.
Sembra che tutto sia iniziato per caso
Hai iniziato a lavorare presto. A 14 anni fai il garzone in una pasticceria di Carpi dove vi siete trasferiti che avevi poco più di tre anni. Certo, non un grande trasferimento visto che vi siete spostati di appena una decina di chilometri da dove sei nato, da Correggio, ma tuo padre voleva aprire lì il negozio e avrà avuto i suoi buoni motivi.
Lavori sin da ragazzo, quindi, ma quella era la normalità del tempo, e ti appassioni della bicicletta.
Sono gli anni di Luigi Ganna il Re del Fango, figlio agricolo pure lui, ciclismo eroico. A pensar bene, forse ti piaceva anche per questo.
Pare che un certo giorno a Carpi ci fosse una corsa e Pericle Pagliani, corridore già famoso, fosse lì, su strada. Era il 1904 e avevi 19 anni. Se è vero come dicono, pare che a un certo punto invece di assistere a bordo strada ti sia messo a correre anche tu, vestito di lavoro com’eri. Dicono anche che a Pagliani stessi dietro senza troppa fatica. Se è tutto vero chissà cosa ti è passato nella testa in quel momento, chissà come ti sei visto da lì ai prossimi dieci o venti anni. Chissà se ci hai pensato.
Non possiamo saperlo, ma certo è che qualcosa cambia quel giorno
Inizi a correre, sempre di più sulle gambe, sempre di meno in biciletta
Ti alleni e gareggi. Vinci e lo fai anche con una certa facilità.
Poi arriva il servizio militare. Abile, arruolato e fortunato: in quel periodo non serviva carne da cannone. Anzi, da militare fai altre gare, continui a vincere e lo fai su distanze diverse, mezzofondo e maratona.
Nel 1907 sei primatista italiano nei 5.000 e campione nei 20.000.
Ai primi di luglio 1908 fai il tempo nazionale su una maratona corsa a Carpi e ti guadagni Londra, la IV Olimpiade.
Guadagni è un po’ un eufemismo anche se, in quel momento, tu con il tuo 1,59 di altezza e i tuoi forse 60 chili scarsi sei il gigante da battere.
Poi la storia è andata come è andata, non ne voglio parlare ancora e non voglio pubblicare ancora le foto che ti vedono accasciato a terra e poi sorretto a braccio.
Siamo qui per raccontare altro.
Il prima e il dopo
Del prima abbiamo detto, ma è soprattutto quello che accade dopo quel londinese 24 luglio 1908 che ci interessa.
A Londra il titolo olimpico se lo prende il newyorkese John Hayes. Lo avevi staccato di oltre 10 minuti, ma la squadra americana fa ricorso. L’aiuto che ti avevano dato in pista era irregolare. Il ricorso lo vincono. Giusto o sbagliato lasciamo stare, tanto ormai lo sappiamo che nulla è più soggettivo e persino casuale dello stare dalla parte giusta o sbagliata della storia.
Dorando, ricordiamocela questa cosa perché più avanti ci sarà utile.
I duellanti
Con John Hayes, però, non finisce così. Vi incontrerete ancora, oh se vi incontrerete!
Vuoi o non vuoi, dopo Londra sei diventato famoso. Tutti ti vogliono risarcire. La Principessa di Galles ti dona una bella coppa, Arthur Conan-Doyle lancia una sottoscrizione a tuo favore e per primo contribuisce, altre sottoscrizioni vengono lanciate in Italia. Insomma, il morale è malconcio, ma l’affetto, la simpatia e anche un po’ di denaro aiutano.
Forte lo eri già prima, ma ora che sei anche famoso si mette in moto qualcosa di diverso. Se c’è una cosa che gli americani hanno inventato è lo show-biz. Tutto può esserlo, anche agli albori del ‘900, anche lo sport.
È così che ti arrivano una serie di inviti a partecipare a competizioni- spettacolo negli Stati Uniti, tutte con una bella borsa in palio, alcune con lo scontro diretto con il vincitore di Londra, John Hayes.
Tu sei Dorando Pietri, non temi nessuno, meno che mai attraversare l’Oceano per incontrarlo di nuovo.
Perdere non è più un’opzione.
Madison Square Garden
Sono passati appena quattro mesi da quel 24 luglio.
Ora sei in pista, sei al Madison Square Garden di New York ed è il 25 novembre. 20.000 persone sugli spalti, forse poche di meno fuori che non sono riuscite a entrare. Tanti gli italiani che non hanno ancora imparato a parlare inglese e che sono lì per tifare te. Molti di più i newyorkesi che tifano per il campione di casa.
Una maratona anomala, su pista, ma la stessa distanza di quella su strada.
Hayes è sicuro di sé. Anche tu. Lo starter dà il via. 42.195 metri a rincorrervi l’uno con l’altro. Nessuno stacca, nessuno molla. Poi accade tutto velocemente. 500 metri, gli ultimi, corri, spingi.
Dorandooo, Dorandooo, Dorandooo!!!
Sugli spalti gli italiani sono tutti in piedi, impazziscono, cuore e occhi gonfi, braccia al cielo. Hayes è dietro e non ti prende più.
Vinci. Ma che dico vinci, trionfi!
Ti piace vincere
Umano vero? il fatto è che tu vinci facile. Tra mezzofondo e maratone, di 22 corse americane ne vinci 17.
Ovunque trovi italiani che ti accolgono e che si sfiatano a gridare il tuo nome.
Tu corri, ma per loro tu sei anche la casa lasciata, la famiglia divisa, gli amici dispersi.
Ti amano, tutti. E tu ami loro.
Il 15 marzo 1909 la tournée americana sta per finire. Incontri ancora una volta Hayes e ancora una volta non c’è storia. O meglio, di storia c’è solo la tua.
A maggio torni in Italia. Continui a correre ancora per un paio d’anni.
L’ultima maratona è nel 1910 a Buenos Aires, l’ultima gara in Italia sono i 15 km a Parma il 3 settembre 1911, l’ultima all’estero il 15 ottobre a Göteborg.
Hai 26 anni, hai corso tanto, hai vinto tanto e hai guadagnato tanto. Ora puoi fare altro.
Aspettative e delusioni
Aprire un albergo ti sembra una buona idea. Il palazzo è bello, proprio nella piazza centrale di Carpi. Una bella rivalsa per l’ex garzone di pasticceria. È il 1911. Coinvolgi tuo fratello, il mondo vi sembra sorridere, ma non sempre si vince.
Intanto nel mezzo c’è la guerra, la Grande Guerra.
Trincee, gas e carne da cannone. Ti richiamano, della guerra respiri l’aria, poi quello che succede veramente vallo a sapere.
Ti riformano, il cuore l’hai consumato parecchio, non sembra essere più quello di una volta.
A Carpi non tutto va come deve andare. Nel 1917 vendi il palazzo in piazza e apri un’autorimessa con annesso servizio di noleggio con conducente, idea innovativa al tempo.
La guerra finisce, ma non del tutto.
I reduci tornano a casa, hanno visto l’inferno e ora vogliono solo la terra che gli era stata promessa.
Così avevano detto ai cafoni.
Andate, gli avevano detto, uscite dalle trincee, saltate fuori che quando tornate a casa vi regaliamo terra da coltivare.
Tanti, tantissimi sono morti con questa voce nelle orecchie e con questo sogno nel cuore.
Di quelli tornati a casa, la terra non l’ha vista quasi nessuno.
47.363
Il mondo cambia Dorando, lo vedi cambiare sotto gli occhi e fai la tua scelta
Dorando Pietri, Fasci Italiani di Combattimento, Fascio di Carpi, anno 1921, tessera 47.363.
Sei un fascista della prima ora Dorando, così si sarebbe detto dopo. Squadrista, ti trovi in pieno biennio rosso, quando gli scioperi industriali e agricoli fanno pensare che la rivoluzione bolscevica fosse lì lì per arrivare anche in Italia.
Non andò cosi. Arrivò altro.
Sei stato un figlio del tuo tempo, come tanti hai creduto che l’Italia potesse essere migliore, forse anche grande e hai fatto la tua scelta.
A Carpi sei coinvolto in azioni che lasciano dei morti a terra, dice che tu guidavi il camion.
Nel 1922 arriva la Marcia, tutto sembra essere dimenticato, ma la vita dei piccoli centri è fatta di memoria e anche di rancori che durano nel tempo.
Cambi città, ti trasferisci a San Remo dove ti ricostruisci una vita e continui a fare il tuo lavoro.
Il mondo dello sport però ti mette da parte. Non sei più un’immagine eroica. A Londra, dopotutto, hai perso. E dopo ti sei messo a guadagnare sulla notorietà di quella sconfitta. Non va troppo bene Dorando, non più.
La vita va avanti comunque e tu non cambi idea. In ogni caso di cuore ne hai ancora tanto. Ti sposi, non hai figli, ma cresci con amore Gina, figlia della sorella di tua moglie.
Un giorno del 1933 scrivi testamento e lo metti da parte.
Quando viene aperto, nel 1942, hai 56 anni. Non ti ha portato via il cuore, ma un’emorragia cerebrale.
Avevi lasciato scritto tutto.
Anche di essere sepolto in camicia nera.
La parte giusta o sbagliata la decide la Storia.
È andata così
Dorando ti scrivo questa lettera ventotto Olimpiadi dopo quel 24 luglio londinese.
Ti scrivo per dirti che è tempo di lasciar andare quell’Olimpiade e quelle foto che ti hanno segnato come il perdente di successo.
Di Dorando Pietri c’è un’altra storia.
Una storia che altri hanno già raccontato prima di me e anche con maggiore dovizia di particolari, ma la storia dell’atleta di successo fa fatica a essere ricordata. Troppo ingombrante, troppo iconografica quella del perdente di successo.
E allora facciamo un altro giro Dorando, sono sicuro che di cuore e fiato ne hai ancora.
Da queste parti siamo in tanti a volerti ancora bene.
Tu parti, noi, più lenti, ti seguiamo.