“It’s gonna be a real job!” annuncia Earvin Johnson jr, per tutti Magic, al giornalista prima della partita.
Sarà difficile, questo è sicuro. È la partita dell’All Star Game alla Orlando Arena e le grida dei quasi 14 mila spettatori rendono l’intervista difficile da seguire. Eppure a Magic non dà fastidio.
Quello che proprio non riesce a digerire è il silenzio che si porta dietro da diversi mesi.
In realtà sa anche quando tutto questo è iniziato: era qualche mese prima, il 7 novembre 1991. Un giorno che ha cambiato tutto; il giorno in cui il mondo scopre che lui, Earvin Johnson Jr. è positivo all’Hiv.
Il silenzio intorno
Quello che è successo dopo, almeno nella sua mente, è un turbinio confuso: domande, tante domande che poi, poco a poco, sono diventate sempre di meno, fino a lasciare un grande silenzio intorno a lui. Per un istante gli ha fatto piacere; il contesto adatto per poter iniziare le cure e cercare di fermare la malattia.
Maledetta come tutte, in quegli anni l’Aids sembrava essere la malattia più maledetta di tutte.
Poi, quando i giorni sono diventati settimane e mesi, il silenzio è diventato sempre più assordante.
All Star Game
Inutile dire che quando è arrivata la convocazione per l’All Star Game del 1992 Magic Johnson, non ha esitato un attimo: count me in.
I fan hanno parlato, la malattia è meno forte di loro, Magic è stato considerato un All-Star starter e lo vogliono in campo. E adesso, che il silenzio si trasformi in saluti e grida.
9 febbraio. Orlando Arena, pubblico all’inverosimile.
Magic Johnson è nervoso, ma non lo vuole dare a vedere, sorride alle telecamere e scherza con i cronisti.
“Ciao mamma e papà!”, saluta in camera. L’attesa a bordo campo è estenuante, avverte tutti gli occhi su di lui e i piedi fremono in preparazione per lo sforzo.
Lo speaker però lo riscuote dalla trance in cui è caduto: “Uno dei più grandi giocatori dei nostri tempi: Magic Johnson!”. Si fa strada fra i suoi compagni e non può far meno di notare, seppur per un secondo, lo sguardo di preoccupazione che attraversa i loro volti; sua moglie lo ha avvertito di come probabilmente qualcuno sarà reticente ad avere un sieropositivo in squadra. Magic Johnson però ha atteso a lungo questo momento, deve e vuole giocare. Lui è un campione di basket, è tutto quello che sa fare.
Maglia 32
La partita non sembra partire con il fischio d’inizio, ma nel momento in cui le sue dita stringono per la prima volta la palla. Solo allora i tre mesi di stop che si porta sulle spalle lo lasciano andare e i suoi due metri e sei di altezza tornano ad essere un guizzo veloce per gli occhi degli avversari.
Quella maglia numero 32 non gli è mai stata così bene come stasera.
“Se volevate vedere un po’ di magia dovevate solo chiamare Magic!”, urla l’altoparlante mentre la folla resta senza parole davanti a quello che sta avvenendo: l’Ovest sta battendo l’Est su tutta la linea.
Il tempo scorre veloce e Magic Johnson, lanciato uno sguardo al timer che non smette di scendere, non vuole smettere più, non vuole che la partita finisca, vuole continuare a stare sotto le luci e in mezzo alla folla. Rumore, vuole ancora essere assordato da quel rumore.
Gli ultimi secondi sono destinati alla storia: due tiri da tre punti che sembrano esser stati orchestrati al millimetro, davanti le facce stanche di un giovane Michael Jordan e Isiah Thomas. Non due qualunque.
Ed ecco che, improvvisamente, almeno per Magic, la partita finisce.
Il migliore
La sua squadra ha vinto: 153-113. Ce l’ha fatta. Non ha battuto solo la East Coast ma soprattutto i suoi dubbi, le paure che lo attanagliavano da mesi. Con i suoi 25 punti e 9 assist è ancora una volta lui il miglior giocatore dell’All Star Game.
Microfono in mano Magic Johnson ringrazia il pubblico. “I’ll never forget” dice. Non dimenticherà mai. Loro non lo sanno, ma sarà così per tutti, in campo e sugli spalti.
Nell’Arena, ma ancora di più dall’altra parte dello schermo tv che ha rimbalzato le immagini, impossibile sapere quante decine di migliaia di sieropositivi abbiano guardato quella partita con una voglia di vita che non gli passerà mai.
Magic Johnson ha rotto il silenzio e i tabù che li circondano con le immagini di un uomo che ha avuto la possibilità di rialzarsi di nuovo.
Non serve chiamarsi Magic per poterlo fare, questo è il messaggio che passa.
Non tutti ce la faranno, ma a tutti, quella partita, ha dato una speranza infinita.
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