Ernest

Ernest Hemingway sfugge ogni definizione, perché lui era oltre, alla ricerca perenne dell'estremo, vivo e vitale fino all'ultimo in una vita fatta di passioni in cui anche lo sport diventa una via di accesso al vitalismo, tratto unico di una vita che valga la pena di vivere.
Ernest Hemingway

Oltre

Ernest Hemingway è stato uomo senza categorie, senza perimetro, senza definizione.
Appassionato di vita, avido di vita, ingordo di vita, attratto da tutto e dal contrario di tutto a patto che non ci fossero patti, perché la fame di vita non è compatibile con lo scendere a compromessi.
Vivo e vitale, di Hemingway il vitalismo senza mezze misure è stato il mai rinnegato spirito guida.

Neanche quando è andato oltre, scegliendo da vivo di non compromettere ulteriormente una vita che, invece, premeva per presentargli il conto e mettere all’incasso la scadenza.

Estremo

Estremo, un uomo come Ernest Hemingway oggi avrebbe avuto difficoltà a sentirsi a proprio agio nel conformismo della correttezza culturale, con una propensione all’etremo non come definizione, ma come vocazione, stato di profondità leggera dell’animo, destino irrinunciabile fatto di passione mai negata,  anzi esibita.

Passione esibita quando si misurava nello scontro quotidiano con il limite, vuoi che fosse la scrittura, il recuperare feriti sul fronte orientale italiano, il raccogliere informazioni per i servizi segreti americani, ingaggiare un Marlin in una lotta all’amo, mirare il colpo fatale in un safari di caccia grossa, piuttosto che vivere il rito ancestrale della tauromachia.

Passione incompresa quando diventava whiskey e tabacco, perché non è vero che lui bevesse o fumasse a dismisura, ma, semplicemente, lui diventava whiskey e tabacco, ne diventava essenza lasciandosene prendere fino in fondo e anche
passione cercata nella sua voracità di amore, anche di quelli frettolosi e occasionali, quando tutto diventava carne e piacere.

Uomo con amicizie di uomini irregolari, da Ezra Pound a Che Guevara, uomini che, a ben vedere, anche loro oggi non avrebbero trovato agio a muoversi nella correttezza del conformismo culturale.

Sport vitale e vitalistico

E non poteva che essere vitalistico il pensiero di Ernest Hemingway sullo sport che, al di là di quello praticato, trova il suo manifesto nell’ultra citato pensiero tratto da Morte nel pomeriggio, dove in maniera inequivocabile afferma che ci sono solo tre sport: il combattimento dei tori, le gare automobilistiche e l’alpinismo il resto sono semplici giochi.

Tutto, quindi, anche nello sport, è per Hemingway  pensiero da tradurre in azione estrema.
Azione che è volta alla ricerca della sfida continua e soprattutto fatale, quella dello scontro tra elementi primordiali e simbolici di altre dimensioni, vuoi che fosse la sfida alla velocità, al mare, alla potenza del toro o alle vette.
Azione che diventa scontro inteso come partita aperta, dove tutto è possibile e che ha sempre in palio una sola posta: la Vita che non è alter ego della Morte, ma  potenza alla Morte superiore.

Hombre vertical

Convinto di questo, il 2 luglio del 1961 ne ribadisce il concetto da hombre vertical, oppone il gran rifiuto e porta lo scontro oltre il limite riprendendosi la Vita che gli stava iniziando a sfuggire di mano, perché un uomo deve combattere anche contro qualunque probabilità senza preoccuparsi dell’esito.
Anche quando questo esito è affidato alla canna di un fucile poggiata sulla bocca.

Ma lui era oltre.
Lui era Ernest.

Marco Panella, (Roma 1963) giornalista, direttore editoriale di Sportmemory, curatore di mostre e festival culturali, esperto di heritage communication. Ha pubblicato "Il Cibo Immaginario. Pubblicità e immagini dell'Italia a tavola"(Artix 2015), "Pranzo di famiglia. Una storia italiana" (Artix 2016), "Fantascienza. 1950-1970 L'iconografia degli anni d'oro" (Artix 2016) il thriller nero "Tutto in una notte" (Robin 2019) e la raccolta di racconti "Di sport e di storie" (Sportmemory Edizioni 2021)

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