I Punkinari, di Alessandro Pagani e Massimiliano Zatini (Edizioni Nepturanus), è un piccolo vademecum su come affrontare la vita con leggerezza. Tra fumetto, musica, e calcio, i due protagonisti, ovvero 666, 333, sono due personaggi agli opposti, ma che riportano, con la loro “filosofia”, al prezioso utilizzo dell’ironia, ricordandoci magari che affrontare le difficoltà della vita con uno sguardo atipico, è una peculiarità che aiuta a ritagliarsi un proprio spazio e una personale autenticità. Un piccolo viaggio narrativo e illustrativo, che mantiene, fermo, il fervido punto di vista dell’autore, pregno di un universo personale a colori, ma che si esalta attraverso una idea emozionale e di scambio, nella sua cultura di arte partecipativa. Due anime parallele, quelle di Zatini e Pagani, in totale sintonia, simbiotici anarchici fumettistici, in cui ognuno di noi si rivede quando è rilegato alla sua “panchina quotidiana” e vuole prontamente smarcarsi con ilarità e comicità.
Alessandro, il tuo libro “Punkinari”, mescola fumetto, comicità e anche musica. Tu hai conosciuto l’underground fiorentino, dove negli anni 70′-80, sono nati tanti artisti della new-wave, sei musicista, ma nel volume ti avvali della prefazione di Pino e gli Anticorpi. Ci descrivi questo universo molto vasto che ti è sbocciato in mente?
Ho sempre immaginato di vedere tutto ciò che mi circonda tramite il mio caleidoscopio personale, fatto di colori che nel mio caso diventano parole e suoni. Le mie passioni nascono lontano nel tempo, più precisamente nel 1986, quando con la piccola factory punk fiorentina Pat Pat Recorder mossi i primi passi nel mondo dell’arte attraverso installazioni, performance ed esposizioni. Fu durante quegli anni che intrapresi anche il mio percorso musicale, in un viaggio che mi vede ancora passeggero. L’idea della scrittura invece, che mi accompagna da sempre e mi ha condotto all’esordio con “Perché non cento” (il primo libro del 2016 composto da poesie metaforiche/surreali, seguito da altri tre libri il cui filo conduttore è l’umorismo), è una parte di me tramite la quale m’interfaccio continuamente con la quotidianità; mi piace far sorridere chi mi circonda, in più lanciare messaggi positivi, soprattutto in momenti complicati come i nostri, non può far che bene, a sé stessi e a chi li riceverà come eredità. Ritengo che tutti abbiamo dentro un lato estroverso, in alcuni è tenuto nascosto, altri sentono l’urgenza di condividere le proprie emozioni col resto del mondo. Io faccio parte di questa cerchia e quest’attitudine comunicativa fatta di reti di pensiero e scambi culturali mi fa sentire continuamente vivo e comunque sempre in fase di realizzazione.
È incredibile, anche il collegamento, simbolico e numerico che fai tra i due protagonisti, 666, numero del diavolo e 333, la perfezione, due figure che aspettano la loro occasione, ma sanno ritagliarsi il loro spazio, ricordandoci che siamo tutti un po’ delle riserve ai margini, ma bisogna affrontare la vita con ironia e intelligenza. Giusto?
È proprio così, i Punkinari sembrano due personaggi agli antipodi ma in realtà, di fronte alle difficoltà, torniamo tutti uguali. La metafora che risulta dalle pagine del libro è chiara, ma non scontata. Sarebbe necessario ed altresì importante riuscire a vedere le cose da un punto di vista più leggero, per sentirsi meno oppressi dalle vicissitudini della vita. Lo predichiamo da sempre, ma ancora non riusciamo ad agitare l’ironia come dote da usare più spesso. Se lo facessimo, sicuramente le preoccupazioni che affliggono la società sarebbero meno, gli accadimenti negativi s’indebolirebbero e ci sarebbe più armonia. In questo i punkinari raggiungono lo scopo: nonostante la delusione di non giocare, i due comprimari, durante l’attesa della propria occasione, si ritagliano un tempo prezioso e riescono a dire la loro sul campo in maniera diversa, non meno significativa e costruttiva di quanto possa apparire.
Insieme a te, Massimiliano Zatini, quale lato ha apportato al tuo volume, la sua presenza artistica ed editoriale?
Massimiliano, oltre ad essere bassista della band di cui facevo parte (Stolen Apple), è una figura importante per il libro, prima di tutto perché sa cogliere, attraverso i suoi disegni, lo spirito dei personaggi protagonisti, in più si è sempre dimostrato in piena sintonia con le mie idee in fase di origine, stesura e revisione, nonché sostanziale braccio destro artistico.
Nell’elaborazione del libro, hai avuto modo di rifarti a qualche riferimento fumettistico, a cui sei particolarmente legato, oppure hai deciso di mantenere una linea di libertà creativa?
Devo dire che siamo andati a braccio, senza affidarci a peculiarità o specificità fumettistiche. Certo niente di completamente improvvisato, ma con una sorta di “anarchia” illustrativa cara al pensiero punk, che qualcuno potrà invece accostare a cultura pop. Anche in questo caso due stili agli antipodi, ma a prescindere dai cliché, libertà di espressione pura.
Il calcio, nella tua visione di appassionato o artista, come si è intrecciato alla storia del volume?
Ho giocato a calcio quand’ero ragazzo e ricordo la rabbia e la frustrazione quando mi mettevano in panchina. Se avessi letto “I Punkinari” avrei affrontato quei momenti con più facilità, in fin dei conti, anche se l’occasione non arriva, la cosa importante è esserci comunque, perché anche le riserve vincono la partita. E se la sorte ci accontenta solo a metà, riuscire a far pace con l’altra parte di noi stessi.