Oggi è il giorno.
Il giorno della Coppa, il giorno di adesso non ci prendono più e di tante altre cose.
Oggi è l’11 luglio, che viene ogni anno, ma che questa volta fa un un po’ più impressione perché son quaranta anni tondi dal Mondiale del 1982.
A pensarci bene fa anche un po’ impressione pensare che non lo giochiamo da otto e che al prossimo, a United 2026, se ci qualificheremo saranno passati dodici anni dall’ultimo.
In pratica una generazione defraudata da chiacchiere da bar e concionerie fatte passare per fini strategie calcistiche, alla fine più false di un rigore rubato. Ma questa è un’altra storia.
Oggi però, se potessi esprimere un desiderio, ai geni della lampada chiederei: di quel Mondiale, ridateci l’urlo.
L’Italia dell’82
L’11 luglio ero già maturo, primo al primo giorno dell’esame che sì, è proprio vero che poi non dimenticherai mai.
Diversa e di tanto quell’Italia rispetto a oggi.
Un’Italia racchiusa in un paradigma che corre dal paradossale Ramazzottimismo degli anni dell’austerity, fino alla patinatissima Milano da bere, slogan cult lanciato sempre dalla Ramazzotti nel 1985.
Rampante quell’Italia che scopriva il leasing e il credito al consumo, in pratica le vecchie rate vestite a nuovo, i villaggi vacanze e si rivedeva, o si immaginava, nei film dei Vanzina.
Per qualche verso anche migliore, rispetto a quella di oggi, ma non in tutto perché il privilegio del tempo passato non deve edulcorare quello che già allora non funzionava.
A guardar bene, però, molto di quello che non andava nel 1982 continua ad andare poco bene anche oggi.
Ma nel 1982 si poteva sperare di tutto, oggi forse un po’ meno
E nel 1982 poteva capitare che una Nazionale circondata dalle polemiche per qualche esclusione non digerita, vedi Pruzzo, e qualche inclusione poco capita, vedi Paolo Rossi, finisse poi per stupire tanti e zittire tutti.
O meglio, far gridare tutti. In casa o nelle piazze, da soli, con i parenti o gli amici, credo che nessuno quel giorno non abbia gridato.
Persino Dino Zoff, nelle polemiche iniziali scelto come portavoce della nazionale proprio per la sua scarsa loquacità, ha gridato quel giorno.
Nando Martellini poi, con il suo Campioni del Mondo! ripetuto tre volte, è diventato l’icona mediatica del grido che unì l’Italia come rare volte prima e anche dopo.
Il grido e l’urlo
Immediato il primo, barbarico il secondo.
Emozione il primo, liberazione il secondo.
In qualche modo ancora educato il primo, smodato il secondo.
Inno alla gioia il primo, ricongiunzione alle energie ctonie primigenie il secondo.
Marco Tardelli
L’urlo è Marco Tardelli che al 69′ per 7 secondi corre come una furia dopo aver segnato di sinistro e in scivolata il secondo goal alla Germania. Prima di lui Paolo Rossi al 57′, dopo lui “Spillo” Altobelli all’81’.
Come lui, però, nessuno.
Ridateci l’urlo
Ecco, guardando ai quaranta anni passati e a quello che siamo nel frattempo diventati, sì, ai geni della lampada, di quel Mondiale 1982 – e di quell’Italia, ma non solo di quella in campo – chiederei indietro proprio l’urlo.
Nel felpatismo delle parole proibite e della cancel culture, l’urlo farebbe tanto bene a tutti.