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Il Ring. Uno spazio magico

Il vecchio Cesare m’aveva guardato non molto convinto ma non essendoci nessun altro disponibile mi aveva detto interrogativo: “ma che voi sali’ te?”, “Volentieri, qualche volta me so’ già mosso” avevo risposto mentre mi levavo i guantini da sacco e prendevo il paradenti e i guantoni.
RING

Aaaa..a le’, lavora co’ ‘sto sinistro!!”.
Mentre cercava di colpire il sacco al meglio, Leonardo pensò che veramente il ring fosse uno spazio magico e che il Maestro di pugilato Cesare Rossi conoscesse già il suo nome.
Scoprimmo poco dopo – e con una certa delusione di Leonardo – che il Maestro Cesare Rossi chiamava “ Le’ ” tutti i ragazzi a cui si rivolgeva.

Roma, Casal Bruciato. La prima palestra

Io e Leonardo eravamo due studenti universitari che frequentavano la Polisportiva Carlo Levi di Casal Bruciato a Via Diego Angeli, a Roma, nella seconda metà degli anni novanta. Frequentavamo da infiltrati negli orari in cui si allenavano i pugili professionisti. 
Ci allenavamo in quella palestra con l’eccitazione che può avere un appassionato di calcio che ha l’occasione di allenarsi con i giocatori della migliore squadra di serie A.
Nel pomeriggio infatti, oltre ai titolati pugili dilettanti, si allenavano pugili professionisti di primissimo livello.

Pugili dal cuore enorme come Marco Dell’Uomo, un peso medio dal temperamento eroico, di quelli che a volte vincono e a volte perdono, ma combattono senza fare mai un passo indietro, anche di fronte alle peggiori avversità; Michele Orlando, un peso welter palermitano con entrambe le mani pesanti pluricampione italiano, con diversi titoli internazionali che è anche andato a combattere negli USA ed è arrivato ad avere un contratto con il famigerato Don King.

Poi c’erano i fratelli Ciarlante, tecnici e potenti allo stesso tempo. Entrambi con un record di vittorie da veri campioni. Il più grande ed introverso, Davide, quando entrava in palestra aveva attorno a sé una carismatica aura di mistero.
Era un pugile di livello superiore a tutti gli altri e solo grazie al suo talento sarebbe arrivato, il 14.03.1998, a disputare il titolo mondiale WBC dei pesi super welter contro Keith Mullings in America.
Alla fine della 5^ ripresa l’arbitro avrebbe decretato la sconfitta di Ciarlante per intervento medico. Un ematoma gli aveva chiuso l’occhio destro dopo 5 riprese in cui aveva fronteggiato il campione del mondo pugno su pugno.
All’angolo di Mullings furono particolarmente felici dell’intervento del medico.

Sparring partner

Un giorno, mentre io e Leonardo un po’ ci allenavamo al sacco e un po’ guardavamo i campioni muoversi, il Maestro Cesare Rossi chiese se c’era un 75 kg che poteva fare qualche round di sparring con un pugile dilettante elite seconda serie, uno insomma che di match ne aveva fatti parecchi.
Non avevo avuto l’ardire di rispondere a voce ma avevo fatto due passi verso il maestro.
Il vecchio Cesare m’aveva guardato non molto convinto, ma non essendoci nessun altro disponibile mi aveva detto interrogativo: “ma che voi sali’ te?” “Volentieri, qualche volta me so’ già mosso” avevo risposto mentre mi levavo i guantini da sacco e prendevo il paradenti e i guantoni.

Appena iniziata la ripresa l’avversario s’era avvicinato con fare tranquillo.
Probabilmente, pensando che non ero uno che combatteva, mi aveva preso un po’ sottogamba. Appena a distanza allungai una serie di tre colpi dritti: jab sinistro, diretto destro e jab sinistro, tutti in pieno viso e poi due passi indietro a studiare la reazione.
Fu sorpreso e ferito più nell’orgoglio che nel fisico.

La sua reazione fu quella più scontata, cercare di levare la distanza, entrare nella mia guardia e scaricare qualche bel gancio che mi facesse capire chi era il pugile tra i due.
In realtà era il tipo di pugilato a me più congeniale. Avevo sempre combattuto di anticipo e di rimessa, sfruttando l’allungo delle mie braccia ed il gioco di gambe.
Se mi fossi fermato di fronte a lui, a combattere a viso aperto per vedere chi era il più forte, sicuramente me le avrebbe suonate. Ma essendo meno veloce di me e con un allungo minore (le braccia più corte) muovendomi per il ring riuscivo a colpirlo e a non farmi prendere.

Dopo un po’ aveva perso completamente la lucidità, infilavo jab sinistri, diretti destri e ganci e montanti portati a distanza col sinistro, a mio piacimento. Lo colpivo una o due volte e poi mi portavo fuori traiettoria andando indietro o scartando di lato.
Avermi rincorso per due riprese sotto una pioggia incessante di colpi portati alla distanza lo aveva affaticato.
Verso la fine della seconda ripresa un po’ di epistassi gli aveva colorato la canotta bianca con effetto drammatico.

“Te movi bene”

Dopo la campanella della seconda ripresa mi ero reso conto che eravamo riusciti a guadagnarci l’attenzione di tutta la palestra. 
Il manager, un tipo pittoresco e di una certa età – di cui non ricordo il nome – che si occupava di organizzare i match dei professionisti e dei dilettanti, mi rivolse per la prima ed unica volta la parola mentre ancora ero sul ring: “Ma te te la sei già fatta la visita agonistica alla Medicina dello Sport?”
Si informava se avevo superato la visita per l’idoneità sportiva per il pugilato per capire se poteva fami fare qualche match. “Purtroppo l’ho fatta ma non m’hanno dato l’idoneità perché ho dei piccoli fori sulla retina” risposi. “Ma quella è ‘na cazzata” mi tranquillizzò il manager “quelle con il laser se sistemano…tutta la nazionale nigeriana ci aveva sto problema…se risolve”.

Sceso dal ring, Marco Dell’Uomo, che tra una ripresa di sacco e l’altra aveva buttato un occhio a quello che succedeva sul quadrato, mentre si levava i bendaggi dalle mani mi disse di sfuggita: “te movi bene” – e io ancora lo considero uno dei più importanti riconoscimenti avuti nella mia “carriera” di combattente.

Kickboxing

La verità è che io di match ne avevo già fatti e anche tanti.
Di Kickboxing però, uno sport da combattimento in cui i colpi si portano sia con le braccia che con le gambe.
Avevo iniziato a praticare la Kickboxing negli anni ’80, quando avevo 14 anni, insieme a mio fratello Diego.
RINGAvevamo iniziato la Kickboxing per eludere le resistenze di mio padre. Già perché pur essendo lui ad averci trasmesso la passione per il pugilato, la sua ansia ci impediva di dedicarci direttamente alla boxe. Approfittando del fatto che non sapesse con precisione cosa fosse la Kickboxing gli avevamo detto che era una specie di arte marziale in cui il combattimento era accennato, quasi virtuale e lui si era messo tranquillo.

Quando aveva cominciato a vedere in casa guantoni, caschetti, paradenti, conchiglie e altre protezioni, ogni tanto qualche segno sulla faccia, lividi sul corpo o qualche traccia di sangue sulle magliette, ormai era troppo tardi.
Il suo timore per la nostra incolumità non gli ha comunque mai permesso di venirci a vedere quando disputavamo gli incontri.

Insieme e grazie a mio fratello ho coltivato la passione per gli sport da combattimento e nel periodo in cui mi sono dedicato all’agonismo, con lui ho girato tutta l’Italia e sono arrivato a partecipare ad un torneo mondiale a Madrid ed un torneo europeo ad Istanbul con la squadra nazionale della IAKSA, la federazione di cui, all’epoca, facevamo parte.

2005. Il ring in piazza

L’ultimo match l’ho disputato nel 2005, in un contesto non proprio internazionale ma sicuramente appassionato, su un ring allestito nella piazza centrale di Cori, ridente comune della provincia di Latina.
Fisicamente ero ormai in una fase calante infatti ero tristemente passato dalla categoria dei pesi medi, 75 kg, ove avevo combattuto per gran parte della mia attività agonistica, a quella dei massimi leggeri, circa 15 kg più in là.

Il mio avversario era un ragazzo molto più giovane di me, dal fisico asciutto e tirato.
Veniva dal taekwondo. Era un istruttore cintura nera che prima del match si era esibito con i suoi allievi in una suggestiva dimostrazione: calci girati, tecniche volanti e tavolette di legno che si spaccavano come crackers sotto i pugni e i calci secchi dei marzialisti.

Quel match per me aveva una spettatrice d’eccezione, Valeria, la mia futura moglie, che non mi aveva mai visto combattere.
Ancora oggi, se capita di ricordare quell’episodio, Valeria racconta che quando ha capito che il mio avversario era il giovane maestro di taekwondo che si era esibito nei rutilanti spaccamenti volanti di tavolette aveva pensato: “Oddio…questo me lo ammazza!…”.
Fortunatamente, anche se la condizione fisica non era più delle migliori, l’esperienza era dalla mia.

La provenienza dal taekwondo faceva del mio avversario un grande calciatore, ma un pugile meno temibile.
Data tale premessa, sin dal primo gong partivo da una distanza fuori portata per le sue lunghe gambe, avvicinandomi abbozzavo qualche calcio solo per impedire che fosse lui ad usare le gambe e poi chiudevo rapidamente dentro, a distanza di braccia, per sparare qualche gancio potente al viso o al corpo. La strategia si è rivelata da subito vincente.

RINGLa giovane cintura nera, non troppo abituato ai colpi, sentite le prime bordate si preoccupava fondamentalmente di proteggersi e lo faceva chiudendosi in modo scomposto, perdendo totalmente la visione del combattimento.
Da parte mia, portati due o tre colpi potenti con le braccia, finita la carica dell’assalto, legavo stretto, esibendomi in una clinch di “verdoniana” memoria, per poi attendere l’intervento dell’arbitro. Ripresa la distanza ricominciavo la routine.

Tre riprese praticamente uguali.
Alla fine della prima, con un gran gancio sinistro, riuscivo anche a metterlo giù.
Il giovane assorbiva senza grandi problemi il pugno e si rialzava prontamente ma il knock down è comunque entrato nel palmares dei miei ricordi.
Fu una vittoria fondamentalmente di esperienza ma, anche per questo, meritata.

Ring, spazio magico

Sono stato affascinato dal ring sin dalla prima volta in cui ci sono entrato. È veramente uno spazio magico.
Quando passi sotto le corde ed entri nel quadrato è come varcare una soglia spazio-temporale per un’altra dimensione in cui non esistono alibi, non esistono scuse, non esistono fraintendimenti, nessun dubbio, nessuna possibilità di spacciarti per chi non sei.

Quando sei fra le corde sei solo e nudo difronte a te stesso.
Neanche l’avversario esiste davvero, è solo uno spauracchio per le tue insicurezze, la cartina al tornasole della tua tempra.
Sul ring ci sei solo tu, chi sei, qual è la tua personalità, che rapporto hai con la tua paura, quanto sei capace di rimanere lucido, controllare ed indirizzare la tua aggressività, quanto impegno e serietà hai messo in quello che dovevi fare e quanto sudore hai buttato prima di entrare tra le corde.

Un luogo magico e sempre più raro dove è ristabilito in modo brutale il nesso di causalità.
La causa e l’effetto sono nelle tue mani, nei tuoi pugni, puoi metterli in relazione senza nessuna distorsione dovuta a più imperfetti metodi di comunicazione, nessuna possibilità di interpretazioni infondate, nessun misunderstanding.
Da circa vent’anni svolgo la professione dell’avvocato e dovermi confrontare quotidianamente con l’affascinante mondo delle norme e delle loro interpretazioni mi fa apprezzare ancora di più il ring e la sua dimensione così diversa e diretta.

Anche per questo non ho mai smesso di dedicarmi con passione alla pratica e allo studio degli sport da combattimento, sono diventato un tecnico iscritto alla Federazione Pugilistica Italiana e sempre insieme a mio fratello, il Maestro Diego Rossi, insegno la Kickboxing ed il pugilato ai più giovani cercando di trasmettere loro l’amore per quella dimensione in cui solo se hai il coraggio di guardarti nudo difronte ai tuoi limiti, mettendo nel giusto equilibrio umiltà ed orgoglio, potrai poi essere pronto a confrontarti con lealtà e rispetto con il tuo avversario.

                                               

Emiliano Rossi avvocato ed istruttore sul ring

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