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Justin Fashanu. Il calcio mancato alla discriminazione

Justin è stato il primo calciatore professionista a dichiarare la propria omosessualità. Ma nel 1990 il calcio inglese non era pronto ad accoglierlo. Cori razzisti e omofobi da parti dei tifosi, discriminazione da parte di allenatori e compagni, perfino il fratello John prese le distanze da lui. Un uomo tormentato dai propri conflitti interiori che lo condussero a un drammatico suicidio.
Justin Fashanu

La vita di Justin Fashanu inizia nel segno di un destino incerto e di un’infanzia sfortunata.
Nato a Londra nel 1961 da un avvocato nigeriano e da una cittadina della Guyana, il piccolo Justin, insieme al fratello John, più giovane di un anno, fu affidato molto presto a un orfanotrofio a seguito del divorzio dei genitori. Pochi anni dopo, i due fratelli furono adottati da una coppia della middle-class inglese e andarono a vivere a Norfolk. Entrambi cominciarono a giocare a calcio fin da piccoli, ma la mancanza dei genitori provocò una profonda ferita nel carattere del giovane Justin.

Un esordio promettente

Non aveva ancora compiuto 17 anni quel cannoniere delle giovanili del Norwich, quando fece il suo esordio in prima squadra nel 1979. Un attaccante interessante, quel Fashanu, capace di segnare 35 reti in 90 presenze in gialloverde, sufficienti per attirare le attenzioni delle big. La spuntò il Nottingham Forest di coach Brian Clough. Era il 1981 e nessun giocatore coloured britannico era mai stato valutato ben un milione di sterline. 

Le prime difficoltà

Nella città di Robin Hood, che doveva essere un trampolino di lancio per la carriera di Justin, vennero invece a galla le prime difficoltà. Con la maglia numero 9 appartenuta a Trevor Francis, passato intanto al Manchester City (giocherà poi 4 stagioni alla Sampdoria), il ragazzo non riuscì a riproporre la regolarità di marcature che tutti si aspettavano. Colpa del gioco di Clough, fatto di fraseggi e rapide verticalizzazioni, che mal si adattava alle caratteristiche di Fashanu. Ma c’era dell’altro.
Di giorno, il ragazzo si accompagnava a una avvenente fidanzata, ma di notte spesso usciva per frequentare locali gay. I tabloid inglesi, che notoriamente vanno a nozze con le gustose notizie gossippare, sbatterono in prima pagina la vita notturna di Justin.

Justin Fashanu

Si deteriora il rapporto con l’allenatore

Clough era un ottimo allenatore, un visionario della tattica, ma era anche di idee fortemente conservatrici, figlio della morale dell’upper middle class britannica. Per questo non accettava la chiacchierata vita privata del suo centravanti. Un giorno lo riprese duramente davanti ai compagni:
“Justin, dove vai se vuoi una pagnotta?”, gli chiese all’improvviso.
Da un fornaio, immagino”, rispose il ragazzo.
“Dove vai se vuoi una coscia d’agnello?”, insistette l’allenatore.
“Da un macellaio”, rispose ancora il giocatore.
“Allora perché continui ad andare in quei cazzo di locali per froci?”
Successivamente, nella sua autobiografia il mister del Forest ammetterà di aver sbagliato nei confronti di Fashanu.

Ai margini della squadra

Intanto Justin venne messo in disparte dai suoi compagni. Si allenava spesso da solo e nello spogliatoio si era creato un certo imbarazzo. Come se non bastasse, gli hooligans lo avevano preso di mira: in ogni campo della Premier veniva bersagliato da cori razzisti e omofobi. Spesso i civilissimi sudditi di Sua Maestà gli lanciavano addirittura le banane, con la doppia, odiosa connotazione semantica.
Ovviamente, le sue prestazioni ne risentirono drammaticamente. Solo 3 reti in 32 presenze significarono l’addio al glorioso club. Per lui si chiusero anche le porte della nazionale inglese.

La parabola discendente

Cominciò per Justin una specie di odissea calcistica per i vari continenti. Dopo un’esperienza presso i cugini poveri del Forest, il Notts County, e un passaggio al Brighton, il giocatore si trasferì negli Usa, ai Los Angeles Heat. Poi si accasò a Edmonton e a Toronto, in Canada, con puntate anche in Scozia e addirittura in Nuova Zelanda. Tra alterne fortune, Justin non riuscì a riprendersi le redini della sua promettente carriera, ritirandosi definitivamente nel 1997.

Justin Fashanu

Il coming out

Nell’ottobre del 1990 Justin decise di dichiarare ufficialmente la propria omosessualità.
Affidò la sua confessione a una intervista sulle pagine del Sun, che titolò: “La star da 1 milione di sterline: sono gay”.
Per la prima volta un calciatore professionista ammetteva di essere gay. Justin sperava, così, di squarciare il velo di ipocrisia che avvolgeva il mondo machista del pallone, di aprire una strada con il proprio coraggioso esempio. Il suo coming out, al contrario, fu accolto con ostilità. La comunità nera britannica, per esempio, lo ritenne “un affronto alla comunità nera”, “un danno d’immagine […] patetico e imperdonabile”. Perfino suo fratello John, che intanto stava facendo carriera con il suo Wimbledon, lo rinnegò pubblicamente.
L’effetto su Justin fu devastante, facendolo sentire sempre più solo, emarginato, disperato.

L’accusa di stupro

Come se non bastasse, la vita era già pronta a infliggere il colpo di grazia all’anima tormentata di Justin.
Tornato negli USA per allenare il Maryland Mania Club, nel marzo 1998 fu accusato di aver abusato di un diciassettenne dopo averlo narcotizzato al termine di una serata all’insegna di alcol e marijuana.
Il ragazzo, Ashton Woods, aveva denunciato alla polizia che Fashanu lo aveva narcotizzato per poterlo violentare, e di essersi svegliato nel letto di Justin Fashanu mentre quest’ultimo gli praticava del sesso orale.  
Interrogato dagli inquirenti il giorno successivo, Justin si dimostrò pronto a collaborare. Tuttavia, poco dopo Fashanu lasciò definitivamente la sua casa americana, sapendo che il rischio di una condanna era piuttosto alta. Una antica legge del Maryland ancora in vigore nel 1998, infatti, considerava reato l’omosessualità, così come i rapporti orali, addirittura all’interno del matrimonio.
Così, quando la polizia si recò presso il suo appartamento per prelevare campioni biologici per il test del DNA, lo trovò vuoto.

Il tragico suicidio

Per due settimane Justin visse a Londra nascondendosi sotto il cognome materno. Cercò di trovare una linea difensiva, ma nessuno gli offrì aiuto. Sopraffatto dai sensi di colpa, dalla solitudine e dai tormenti interiori, il 2 maggio Justin Fashanu si concedette una sauna nel quartiere londinese di Shoreditch, poi forzò l’ingresso di un garage abbandonato della zona, e di lui si persero le tracce. Fu trovato il giorno dopo, impiccato.
In tasca aveva un biglietto, il suo ultimo messaggio al mondo crudele che lo aveva costretto al sacrifico estremo:
“Desidero dichiarare che non ho mai e poi mai stuprato quel giovane. Sì, abbiamo avuto un rapporto basato sul consenso reciproco, dopodiché la mattina lui mi ha chiesto denaro. Quando io ho risposto ‘no’, mi ha detto: ‘Aspetta e vedrai’. Spero che il Gesù che amo mi accolga: troverò la pace, finalmente.”
Una indagine inglese stabilì che su Justin Fashanu non pendeva alcun mandato di cattura: gli esami tossicologici non furono mai eseguiti, per negligenza degli inquirenti americani.
L’accusa a suo carico per stupro risultò caduta per mancanza di prove.

 

Davide Zingone Napoletano classe ‘73, vive a Roma dove dirige l’agenzia letteraria Babylon Café. Laureato con lode in Lingue e Letterature Straniere e in Scienze Turistiche, parla correntemente sei lingue. È autore della raccolta di racconti umoristici "Storie di ordinaria Kazzimma", Echos Edizioni, 2021; del saggio “Si ‘sta voce…”, Storie, curiosità e aneddoti sulle più famose canzoni classiche napoletane da Michelemmà a Malafemmena, Tabula Fati, 2022; e di “Tre saggi sull’Esperanto”, Echos Edizioni, 2022.

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