È trascorso da allora quasi un secolo e, a parte qualche centenario, nessuno a Castellammare di Stabia può ricordare la lunga permanenza in porto di uno dei più grandi velieri del mondo, una nave divenuta successivamente famosa per uno dei più tragici drammi della marineria mercantile mondiale.
Il suo nome era Pamir e costituiva uno degli esemplari della cosiddetta “ultima vela”, maestosi eredi dei clipper, i più veloci velieri commerciali di tutti i tempi, impiegati generalmente a partire dalla metà del XIX secolo, sulla rotta tra Cina e Gran Bretagna, sempre in competizione tra di loro per consegnare col massimo anticipo in Europa il “tè primo raccolto”.
Il Pamir
Lungo fuoritutto 114 metri e armato con tre alberi a vele quadre e uno a vele auriche per una superficie velica di 3.800 metri quadrati, il Pamir era stato varato nei cantieri Blohm & Voos di Amburgo il 19 luglio 1905, all’epoca in cui i piroscafi avevano ormai esercitato anche nei confronti dei grandi velieri una concorrenza insostenibile. Ciò nonostante la Compagnia armatrice tedesca Laeisz contava di poterlo utilizzare soprattutto su lunghe distanze nelle ventose rotte oceaniche per i noli “poveri”, come rottami di ferro, minerali e soprattutto guano, il fertilizzante presente allo stato naturale sulle coste cilene.
Allo scoppio della prima guerra mondiale la nave si rifugiò a Las Palmas nelle Canarie, dove l’equipaggio venne internato e dove rimase fino a guerra finita, quando raggiunse Amburgo e poi l’Italia alla quale fu assegnato dalle clausole del trattato di pace.
La seconda vita
Rimorchiata fino a Castellammare di Stabia, la nave fu ormeggiata al molo foraneo; la sua suggestiva sagoma, entrò prepotentemente nello skyline del porto campano dal 17 marzo 1920 fino all’estate 1924. Poi, considerata l’impossibilità per lo Stato di utilizzarlo proficuamente, il Pamir fu ceduto per 7.000 sterline alla stessa compagnia Laeisz, sempre impegnata nel trasporto del guano dal Cile. Anche questo impiego non durò però a lungo (la chimica produceva ormai fertilizzanti molto più economici) per cui il Pamir sarebbe stato certamente avviato alla demolizione se non fosse intervenuto il capitano Gustaf Erikson, un armatore finlandese con sede a Mariehamn, nelle isole Àland, proprietario di molti grandi velieri che navigavano in tutti i mari del mondo dove ci fosse vento sufficiente per i loro imponenti piani velici.
Preda di guerra
La nave era alla fonda a Goteborg il 14 marzo 1940, giorno dell’armistizio tra Unione Sovietica e Finlandia: quindi, battendo bandiera finlandese, potette trasferirsi di nuovo nelle acque del Pacifico, in Australia e in Nuova Zelanda. Nel 1941, mentre era ormeggiato a Wellington, il Pamir fu considerato preda di guerra ed affidato ad una Compagnia neozelandese che l’impiegò per il trasporto di materiale bellico dagli Stati Uniti ai porti del Pacifico. Durante tale attività fu protagonista di una avventura quanto meno singolare. Al largo delle Hawaii il 12 novembre 1944 viene avvistato dal sommergibile giapponese 112, sul cui comandante, il capitano Tetsuji Kudo, sorpreso e affascinato dalla visione suggestiva e insolita del grande veliero con tutte le vele spiegate, prevalse lo spirito del marinaio su quello del combattente e così l’incontro non ebbe conseguenze.
La terza vita
Alla fine del conflitto il Pamir fu restituito alla Finlandia e nel 1951 stava per essere consegnato al demolitore, quando venne acquistato per 40.000 sterline, insieme al quasi gemello Passat, dall’armatore tedesco Heinz Schliewen per adibirli ambedue a navi-scuola. Il progetto era di utilizzarli contemporaneamente anche come navi da carico: in tal modo si sarebbe potuto disporre di equipaggi a basso costo, rendendo così meno gravosa la gestione finanziaria delle navi stesse. Nel cantiere Hovaldtswerke di Kiel le due unità furono sottoposte a radicali lavori, tra cui l’installazione di un motore Diesel da 900 cavalli e la trasformazione di numerosi locali interni tenuto conto delle esigenze degli allievi. La prima crociera addestrativa ebbe inizio nel dicembre 1951 con destinazione il Sud America ed altre ne seguirono nei due anni successivi. L’iniziativa fu molto apprezzata negli ambienti dell’istruzione nautica, ma nonostante i proventi dei noli si rivelò così passiva dal punto di vista economico da far fallire l’armatore dopo soli due anni, anche perché vennero meno sovvenzioni statali promesse e non mantenute.
La quarta vita
Così per l’ennesima volta nel 1953 il Pamir e il Passat furono messi in vendita e trovarono come acquirente una banca del Land Schleswig-Holstein che li diede in gestione al Consorzio Stiftung Pamir und Passat, formato da 40 armatori tedeschi.
Le attività nautico-commerciali si svolsero regolarmente per un quinquennio e furono molto positive dal punto di vista didattico, ma altrettanto disastrose da quello commerciale per cui, prima del rientro delle due navi scuola dalle consuete crociere in Sud America del 1957, venne deciso dal Consorzio di sospenderne l’attività. In quel momento il Pamir era al comando del cap. Johannes Diebitsch e si trovava a Buenos Aires dove aveva caricato alla rinfusa 3.780 tonnellate di orzo e 250 di granaglie. A bordo c’erano 86 uomini d’equipaggio, compresi 52 allievi. Da notare che le operazioni di carico si erano svolte lentamente per via di uno sciopero dei portuali, i quali erano stati sostituiti all’ultimo momento da personale militare, evidentemente poco qualificato per effettuare un corretto stivaggio.
La tragedia
Il Pamir levò gli ormeggi il 10 agosto 1957 per quello che sarebbe stato il suo ultimo viaggio prima del disarmo, dirigendo alla volta di Amburgo, senza incontrare particolari difficoltà nella prima parte del viaggio. Successivamente, mentre si trovava 600 miglia a sud-ovest delle Azzorre, incappò il 21 settembre nell’uragano Carrie proveniente dai quadranti meridionali. Le tremende sollecitazioni derivanti dalla furia del mare e dall’intensità del vento provocarono una forte inclinazione sul lato sinistro, accentuata da un progressivo spostamento del carico. Lo scafo si rivelò presto ingovernabile fino a mettersi di traverso rispetto al moto ondoso accentuando in tal modo uno sbandamento già critico. Alle 13.03 il Pamir si capovolgeva, affondando in 20 minuti. L’assetto della nave consentì di utilizzare solo due scialuppe di salvataggio che pochi riuscirono a raggiungere a nuoto. I superstiti furono soltanto cinque membri dell’equipaggio ed un allievo (Gunther Hasselbach) salvati dal mercantile Saxon. Nei nove giorni successivi la nave Abscon della Guardia Costiera effettuò accurate ricerche in tutta la zona senza alcun esito, mentre in ambedue le Germanie si proclamava una giornata di lutto nazionale e si dava inizio ad una serie di inchieste che si sarebbero protratte per un ventennio.
Una lugubre annotazione
Per ironia della sorte il drammatico ultimo viaggio del Pamir fu uno dei pochi a concludersi con un utile finanziario per la Compagnia. Le assicurazioni pagarono infatti 2,2 milioni di marchi, una cifra più che sufficiente a compensarla per il danno economico subito.
Anche oggi gli “aspiranti al comando di navi mercantili”, gli allievi nautici, effettuano l’indispensabile tirocinio a bordo, ma dell’esperimento di impiegare navi da carico come navi scuola per i frequentatori di un intero Istituto Nautico non si è più parlato. A distanza di oltre un secolo è infatti ancora vivo nelle marinerie di tutto il mondo il ricordo della più grande tragedia del mare all’epoca dell’ultima vela.
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Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta nel gennaio 2020 sul n. 89 del Notiziario del Centro Studi Tradizioni Nautiche della Lega Navale Italiana