Jim Thorpe. Il più grande, il più dimenticato

Indiano della nazione Sauks e Fox, il primo nativo americano a partecipare alle Olimpiadi con due ori a Stoccolma 1912, campione di football e di baseball, giocatore di basket e di hockey. Famoso, tradito, ricco, povero, battezzato e figlio del Grande Spirito, molte mogli, tanti figli, muore solo in una roulotte e una città prende il suo nome. Le mille contraddizioni di una leggenda immensa dello sport
 Marco Panella
Jim Thorpe

“…fu un generale di vent’anni, occhi turchini e giacca uguale, fu un generale di vent’anni, figlio d’un temporale, ora i bambini dormono sul fondo del Sand Creek”. Era il 1981 e così cantava Fabrizio De Andrè.
Un giorno del 1864, il 29 novembre, 700 giacche blu del Colorado Cavalleria si scagliano contro un villaggio che si stende in un’ansa del fiume Sand Creed. Davanti a loro i Cheyenne con due bandiere alzate, una bianca e una americana.  Non serve a nulla. Nella giornata del disonore oltre 500 indiani furono uccisi, circa la metà erano donne e bambini.
Tu sei andato via troppo presto per sapere di Fabrizio De Andrè e della sua canzone e non ho idea se lui abbia mai saputo di te, troppo tardi per chiederglielo, andato via anche lui. Ma tu sei Jacobus Francis Thorpe, Jim per tutti. Soprattutto tu sei Wa-Tho-Huk.
Tua madre raccontava che mentre nascevi un raggio di sole si era fatto spazio tra i lembi del tepee ed era venuto a salutarti. I segni non devono andare perduti e così ti hanno chiamato Wa-Tho-Huk, nella tua lingua significa Sentiero Luminoso.
Tu con le storie delle guerre indiane e del massacro di Sand Creek ci sei cresciuto.

Hiram Thorpe e Charlotte Vieux
(Hiram Thorpe e Charlotte Vieux)

Una vita così

Sembra che tu sia nato di maggio nel 1887 o forse l’anno dopo. Non è così importante saperlo, le leggende non sono raccomandate, non hanno bisogno di date certe. Sei nato quando le guerre indiane erano all’epilogo; Geronimo si era arreso già da un paio di anni, ma l’ultima strage indiana sarà due anni dopo, nel 1890, quando 250 Lakota saranno massacrati a Wounded Knee.
Sei nato in Oklahoma. Cittadino americano? Non scherziamo. Ti chiami Jim Thorpe, sembri americano, ma l’Indian Citizenship Act arriverà solo nel 1924.  Tu sei della nazione Sauk e Fox. Nazione, già. Tribù lasciamolo dire a quelli che non sanno. Nasci in una riserva indiana anzi, nascete, perché hai un gemello. Charlie però morirà a 9 anni di polmonite e sarà il primo grande dolore della tua vita.
Sei un nativo americano, ma come recita il tuo documento scolastico, sei un mezzosangue. Tuo padre, Hiram, ha padre irlandese e madre indiana, tua mamma Charlotte Vieux è una discendente di Falco Nero, ultimo capo guerriero dei Sauk e primo nativo a lasciare una sua biografia. In ultimo, i tuoi genitori sono cattolici e ti battezzano. Insomma, con tutte queste cose dentro, difficile pensare che avresti potuto avere una vita ordinaria.

Jim Thorpe
(Jim Thorpe. La scheda scolastica)

Sei un irregolare

Lo sei da subito. Impari a camminare come tutti, ma sei ancora un bambino quando impari a pescare, a cacciare, a montare a cavallo e a cavartela da solo. Quando arriva il momento, impari anche a far di conto. Tuo padre ti ha detto che devi studiare perché altrimenti gli altri, quelli che non hanno la pelle ramata come la tua, ti avrebbero lasciato sempre ai margini.
Per andare a scuola, prima a Tecumseh e poi, dopo la morte di tuo fratello, alla ancora più lontana Haskell Indian School di Lawrence, macini chilometri a piedi. Camminare però non ti basta, ti piace correre e se incontri un animale, un cane o persino un cavallo, ti metti a gareggiare per vedere chi è il più veloce. Spesso da scuola scappi anche. Ovviamente di corsa.
Nel 1901 muore tua madre e allora vorresti scappare per sempre. Lo fai, in effetti. Litighi con tuo padre, vai via di casa e finisci a lavorare in un ranch. È il West, bellezza. Cresci, forse ci ripensi, fatto è che a un certo punto a casa ci torni. Nel 1904 tuo padre, che nel frattempo si è risposato, ti iscrive alla Carlisle Industrial Indian School. È il 6 febbraio. Due mesi dopo, il 24 aprile, una ferita andata in cancrena se lo porta via, ma la vita nel frattempo ha capito quale direzione farti prendere.
La Carlisle Industrial Indian School è qualcosa di simile a un college, esclusivo per voi indiani nel senso che  non vi è permesso studiare in scuole che non siano solo per voi. La missione dichiarata della Carlisle Industrial Indian School è  darvi un’opportunità di integrazione, qualcuno pensa invece che fosse quella di farvi perdere l’identità, ma se questa era l’intenzione, con te non funziona.  A Carlisle rimani fino al 1909 ed è qui che incontri l’uomo che ti porta verso il destino.

Pop Warner e Jim Thorpe
(Da sinistra “Pop” Warner, Jim Thorpe e Louis Tewanima)

La scoperta del talento

Glenn “Pop” Warner è qualcosa in più di un professore di educazione fisica. Pop allena gli studenti: atletica, football, baseball e tutto quello che fa movimento. Tra tutte, la squadra di football è il suo orgoglio; è l’unica in tutti gli Stati Uniti composta esclusivamente da indiani. Dicono che un giorno, a scuola, sei passato davanti ai ragazzi dell’atletica impegnati in una gara di salto in alto.  Pop guardava l’asticella fissata 180 cm andare giù a ogni salto. Tu non eri lì per saltare, non eri vestito per fare sport. Fai per andare oltre, poi ti fermi, torni indietro, ti avvicini e gli dici provo anche io. Intorno a te sguardi scettici e mezzi sorrisi, ma non importa. Fissi una volta ancora l’asticella, ti allontani, prendi la rincorsa, fiato, gambe, muscoli, stacchi e salti. L’asticella rimane lì, al suo posto. Gli occhi scettici sono diventati bocche aperte.
Pop non ti lascia più andare, vede per primo il tuo futuro, ti prende con lui, ti insegna a essere disciplinato verso te stesso e ti coinvolge in tutte le specialità. Il motivo è semplice: tu riesci a fare tutto meglio di chiunque altro. C’è solo uno al college che ti batte in qualcosa; nelle gare di fondo Louis Tewanima, della nazione Hopi, è più forte di te. Diventate amici e anche la sua sarà una grande storia. In breve diventi il riferimento di punta per l’atletica, per la squadra di baseball e per quella di football. In pratica un idolo della scuola.

Andata e ritorno

Il tuo cartellino dice che a Carlisle rimani fino al 14 giugno 1909. Hai 20 anni, è tempo di fare altro. Hai voglia di scoprire il mondo e anche se il mondo ti fa vedere solo strade in salita, non te ne curi perché, a 20 anni, il tempo è un eterno presente. Lavori come puoi, fai quello che capita, ti arrangi. Giochi anche e ricevi anche dei piccoli premi che ti risolvono un po’ il probelma del quotidiano, ma che non sai quanto peseranno sul tuo futuro. Un paio di anni passano così, ma Pop non si è dimenticato di te, ti cerca e ti chiede di tornare. I tuoi studi sono irregolari, puoi ancora essere uno studente. Nel 1911 sei riammesso a Carlisle, rimarrai fino al 1913 e quello che accadrà in questi due anni non lo avresti mai creduto possibile.

Due anni straordinari

Nel 1911 sei il running back di punta della squadra di football e al campionato interuniversitario fai la tua parte. Di quella partita contro i signorini di Harward che vincete con tutte mete tue, ancora se ne parla. Pop ha però altre idee per la testa, lui sa quanto vali e guarda lontano. Guarda oltre l’Oceano. Guarda alla Svezia, a Stoccolma, dove dal 5 maggio al 22 luglio si svolgeranno i giochi della V Olimpiade. È lì che ti vuole mandare. Partecipi alle selezioni nazionali, ti qualifichi senza problemi e ti ritrovi iscritto per le gare di salto in alto, salto in lungo, pentathlon e decathlon. Di questo, però, parleremo dopo. Adesso facciamo un passo avanti di qualche mese dopo le Olimpiadi. Nel secondo semestre del 1912 sei protagonista assoluto del campionato interuniversitario di football, il titolo lo vincete voi, i Carlisle Indians, e tu sei nominato miglior giocatore del torneo.

Jim Thorpe
(Jim Thorpe)

Jim vs West Point

Di questa stagione la cronaca ci restituisce una giornata simbolica. Il 9 novembre siete sul campo di West Point per incontrare la squadra dei cadetti della più prestigiosa accademia d’armi degli Stati Uniti. Sugli spalti ci sono 3.000 persone, tutte loro e voi in campo sapete che quella non è una partita come le altre. Sono passati solo 22 anni dal massacro di Wounded Knee e quei fantasmi ci sono ancora tutti. Il New York Times racconta che negli spogliatoi Pop Warmer abbia agitato proprio quei fantasmi ricordandovi che i cadetti che stavate per incontrare erano figli e nipoti di quelli dei massacri indiani.
In campo la storia va diversamente. Il campo dice 27-6 per voi. Vincete, stravincete, ma senza nulla togliere agli altri, vinci tu perché quello che passa alla storia non è solo la vittoria della squadra, ma sono due tue mete simboliche e incredibili.
La prima è quando con l’ovale stretto al petto ti involi dalle 92 yards, corri per circa 84 metri senza che nessuno riesca a impedirti di superare la meta e fare touchdown. Nessuno tranne l’arbitro che fischia qualcosa che ha visto solo lui e annulla tutto. Va bene così? No, non va bene. Altro ovale, altro giro. Questa volta parti dalle 97 yards, ancora una volta punti dritto e ancora una volta non ti ferma nessuno. Neanche l’arbitro. Touchdown, 5 punti e via così.
Tra i cadetti che provano a fermarti, ce n’è uno che si fa male a un ginocchio. È un horses, così si chiamano in gergo gli allievi del secondo anno, e a football non giocherà più. Nel 1961, quando sarà presidente degli Stati Uniti, Dwight D. Eisenhower ricorderà quel giorno dicendo che giocavi meglio di qualunque altro giocatore di football avesse mai visto.
Quel giorno a West Point, però, tu al collo avevi già due medaglie olimpiche e questa è un’altra storia ancora.

Stoccolma 1912
(Stoccolma 1912. Le scarpe di Jim Thorpe)

Gli ori di Stoccolma

Tu e Louis Tewanima siete i primi nativi americani a partecipare alle Olimpiadi. Indossate la maglia con il crest a stelle e strisce stampato al centro del petto, guadagnate medaglie, ma non siete ancora cittadini come gli altri. Siete indiani. Solo indiani. La differenza si farà sentire a lungo.
Salto in lungo, salto in alto, pentathlon – classico, non quello moderno con discipline diverse introdotto in questa edizione e che vedrà l’oro andare a quello che sarà un controverso generale statunitense, George Patton – e decathlon, anche questo alla sua prima comparsa olimpica.
Pentathlon e decathlon sono discipline durissime, i più forti sono gli atleti del nord Europa, svedesi e norvegesi. I più forti dopo di te. Un argento e un bronzo per gli svedesi sul podio del decathlon, mentre su quello del pentathlon sei in compagnia di un argento norvegese e di un bronzo americano. Nel salto in alto sfiori il bronzo per 2 centimetri, nel lungo ti piazzi settimo, ma con il pentathlon e il decathlon hai fissato record che dureranno anni e diventi anche il primo indiano a vincere ori olimpici.
Tutto questo anche se qualcuno aveva provato a farti le scarpe. In questo caso non è un modo dire. Quando vai a cercarle per iniziare le gare del pentathlon, il 7 luglio, le scarpe nella sacca non ci sono più. Sparite. Tu però sei un indiano non solo quando fa comodo agli altri. Sei un indiano che sa cavarsela sempre e comunque. Vai a rovistare nella spazzatura e ne trovi due, diverse l’una dall’altra per foggia e numero. Non importa. Al piede destro aggiungi due calzini per fare spessore. Le indossi, gareggi, vinci. Finita la cerimonia delle premiazioni, tutte insieme l’ultimo giorno olimpico, re Gustavo V di Svezia ti cerca perché vuole fare qualcosa in più. Vuole stringerti la mano e mentre lo fa ti dice senza remore “Signore, voi siete il più grande atleta del mondo”. Rispondi come sai, come puoi. “Grazie re“. Tutto qui.

Il ritorno a New York è trionfale

Sfili sulla Broadway su una macchina scoperta, ti lanciano coriandoli, gridano il tuo nome, il sindaco ti premia a nome della città, godi il tuo momento soprattutto perché quegli ori significano tanti soldi e adesso la tua vita può cambiare veramente. Tutto sembra magicamente essere andato a posto, ma non è così. Eroe nazionale? Solo qualcosa di simile. Tu festeggi, ma altri già tramano. Questa volta le scarpe proveranno a fartele sul serio. Questa volta la vicenda è maledettamente più complicata.

(Jim Thorpe)

Gli ori rubati

Passato il clamore delle vittorie, passati i festeggiamenti, la vita sportiva continua a darti infinite soddisfazioni. In questo pezzo di storia della tua vita, però, diventano importanti i secondi. Non quelli che scandiscono il tempo, ma quelli che sul podio di Stoccolma erano accanto a te con l’argento al collo. Il tempo, in questa storia, dura molto di più, dura anche più di te, dura 70 anni.
Nel 1913 su un trafilo di un giornale della grande provincia americana appare la notizia. Dicono che tu, il campione olimpico, tra il 1909 e il 1910, quindi prima di Stoccolma, hai giocato delle partite nella minor league di baseball nella Carolina del Nord e che hai ricevuto dei premi in denaro. Apriti cielo! Ma allora non sei un dilettante, ma allora non potevi partecipare alle Olimpiadi, ma allora l’oro non vale, non te lo meriti, non potevi averlo! Giustizia, quindi, giustizia olimpica! Via gli ori, via tutto!
Chi doveva difenderti, ti accusa prima di tutti. La National Association of Amateur Athletes of America solleva il caso al Comitato Olimpico Nazionale. Ti difendi come puoi, dici che nel 1909 non potevi conoscere le regole, che erano solo premi modesti che ti servivano per vivere, dici che eri solo “un povero studente indiano che non sapeva di sbagliare”. Non ti rendi conto che la scusa diventa un’altra accusa, non ti rendi conto che “l’essere un povero studente indiano” non allevia, ma aggrava.
Su richiesta del Comitato Olimpico Nazionale, il Comitato Internazionale revoca le medaglie e le riassegna ai secondi.
Eccoli i secondi importanti. Il norvegese Ferdinad Brie, argento del pentathlon, e lo svedese Hugo Wieslander argento del decathlon, quell’oro non lo vogliono. Le medaglie, mai ritirate dai due, prima finiranno in un museo e poi saranno rubate.
Ci vorranno 70 anni per avere giustizia vera. Il ricorso contro le tue medaglie era stato presentato oltre i 30 giorni previsti dal regolamento olimpico, molto oltre,circa sei mesi dopo. Al tempo nessuno aveva voluto vedere.
Ci penseranno i tuoi figli a combattere la tua battaglia. Nel 1982 il Comitato Olimpico americano riconosce il torto che hai subito, dopo decenni la macchina burocratica si rimette in moto, persino il Congresso degli Stati Uniti appoggia la richiesta.
Il 18 gennaio 1983 ai tuoi figli vengono consegnate due copie fedeli delle medaglie e il tuo nome è iscritto nuovamente nell’albo d’oro delle Olimpiadi.

(Jim Thorpe corre ancora)

Tutto il resto

È tantissimo tutto il resto, anche se qualcosa luccica e tanto no.
Dopo Stoccolma sei passato al professionismo, sei stato un campione assoluto di baseball con i Giants di New York e con i Cincinnati Reds, hai giocato a football con i Canton Bulldogs e ne sei diventato anche il presidente, hai giocato a basket e a hockey, hai firmato contratti di sponsorizzazione, hai guadagnato tanto,  sei stato depredato dalla crisi del ’29, hai avuto tre mogli e otto figli, hai speso tutto, anche quello che non avevi. Ti sei vestito con il capo piumato nei film di Hollywood che raccontavano la storia degli indiani cattivi, ti sei annegato nell’alcool, ti sei curato da un tumore alla bocca solo grazie alla beneficienza, hai fatto il muratore per pochi dollari al giorno tu che ne guadagnavi decine di migliaia al mese. Nel 1950 in un sondaggio dell’Associated Press sei nominato il più grande atleta della prima metà del secolo.  Nel 1951 la tua storia diventa un film, sui cartelloni americani c’è scritto Jim Thorpe, all american, su quelli francesi Le chevalier du stade su quelli italiani Pelle di rame. La faccia non è la tua, ma quella di Burt Lancaster.
Nel 1953 la luce si spegne, muori d’infarto solo e povero, in una roulotte, trovato per caso da un paio di curiosi che avevano visto la porta socchiusa. Non trovi pace neanche da morto. La tua terza moglie vende le tue spoglie a una cittadina della Pennsylvania dal nome improbabile – Mauch Chunk – e in cerca di riscatto pubblicitario.
Dal 1954 riposi lì, nella città dove ti hanno eretto un monumento e che da allora a tua memoria si chiama Jim Thorpe.
Nel 1982 diventi un francobollo da 20 centesimi e viaggi incollato su tutte le cartoline degli Stati Uniti.
No, non tutto ha luccicato nella tua vita Jim Thorpe, ma tu sei Wa-Tho-Huk, tu sei Sentiero Luminoso.
La luce te la sei portata dentro e quella non te l’ha mai tolta nessuno.

 

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Marco Panella, (Roma 1963) direttore editoriale di Sportmemory, giornalista, scrittore. Ha pubblicato i romanzi "Io sono Elettra" (RAI Libri 2024) e "Tutto in una notte" (Robin 2019), la raccolta di racconti "Di sport e di storie" (Sportmemory Edizioni 2021), i saggi "Pranzo di famiglia. Una storia italiana" (Artix 2016), "Fantascienza. 1950-1970 L'iconografia degli anni d'oro" (Artix 2016), "Il Cibo Immaginario. Pubblicità e immagini dell'Italia a tavola"(Artix 2015).

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