Non ho avuto un buon rapporto negli anni con il Presidente Franco Sensi. Io vecchia maniera, ho sempre avuto grande affetto e stima per Dino Viola, come dimostra il ricordo indelebile che ho di questo grande signore del calcio di tanti anni fa, di quella Roma che è la Roma di tanti tifosi dai capelli bianchi.
Ho avuto la fortuna e l’onore di aver conosciuto gran parte della famiglia del Presidente; Donna Flora, che sorrideva quando sentiva il mio cognome, ma anche Ettore e Riccardo, i figli, e Francesca, la nipote. Ogni volta stare accanto a questa famiglia straordinaria è stato un momento emozionante, ben diverso dai giorni d’oggi dove i giovani tifosi non hanno un benché minimo avvicinamento. Posso vantarmi di aver curato, nel mio piccolo, una profonda amicizia dalla quale è difficile staccarsi.
Ricordo che decisi per il mio gruppo Orgoglio Romano di legittimare il nostro sentimento nei confronti di Viola ricamando su una sciarpa simbolo una sua affermazione: La resa è dei vigliacchi e sulla tessera il volto del Presidentissimo.
La contestazione a Sensi
Orgoglio Romano è stato anche uno dei gruppi che animarono la contestazione alla presidenza Sensi.
Una volta, a Trigoria, in un faccia a faccia tra tifoseria e lo stesso Franco Sensi, la discussione degenerò e i rapporti divennero ancor più tesi.
A quel tempo, diversi comunicati del Commando Ultra Curva Sud riportavano un certo malcontento per una presidenza che non riusciva a far grande la squadra giallorossa; il nome del gruppo era tra i contestatori.
Promesse mai mantenute, bidoni di giocatori fatti passare come campioni alimentavano un’avversità nei confronti di questa presidenza e, al tempo stesso, un forte richiamo alla famiglia Viola e all’ingegner Adino, vero nome del presidente, come unico.
Ci sono voluti grandi sforzi economici da parte di Sensi per arrivare a vincere il terzo scudetto, al contrario di Viola che non aveva di certo le possibilità economiche del suo successore.
Il primo presidente Ultras
Dino Viola non è stato solo un presidente, è stato anche uno del Commando, con quella sua tessera Numero 2101 che lo stesso Commando gli rilasciò, era il 1985.
Il primo presidente della storia del calcio a essere tesserato come ultra; è il caso di dire io c’ero.
Forse per questo porto ancora con me e ben impresse non solo nella memoria certe sue dichiarazioni di affetto senza pari verso la squadra che aveva preso per mano.
Tra queste ne cito solo alcune:
“La maglia della Roma è giallorossa e rappresenta la città di Roma”;
“I tifosi ci danno la loro fede, noi gli dobbiamo dare tutto il nostro carattere!”;
“Lo sanno tutti che è la mia più grande sconfitta, ma io non ho avuto quell’idea, perché se l’avessi avuta veramente lo stadio sarebbe già stato fatto. Quindi, mi rendo colpevole che lo stadio non sia ancora fatto!”.
Era il 1989, ovvero piu’ di trent’anni fa.
Altri tempi, altra Roma, stesso amore verso quei colori.
Un sabato di gennaio
Il diciannove gennaio del 1991 la notizia ci colpì come un pugno dritto alla bocca dello stomaco e tutti noi tifosi rimanemmo basiti quando si venne a sapere sua scomparsa.
Era un sabato. Il giorno dopo all’Olimpico si giocava Roma-Pisa.
Ricordo la tristezza di quel giorno allo stadio, il clima surreale sugli spalti, tutti con le lacrime agli occhi nel ricordare quel volto sorridente apparso sui grandi tabelloni.
I fiori deposti sul suo seggiolino dal capitano Giuseppe Giannini e da Sebino Nela resero il clima ancor piu’ triste. Difficile colmare quel vuoto lasciato dal più grande presidente della storia romanista.
Il saluto della Sud e una partita senza storia
Il saluto della Curva Sud racchiuso in un lungo striscione recitava: “Roma, dai sette colli, tramanderà la storia di un uomo che, da solo, le ha dato tanta gloria!! Ci hai lasciato un vuoto incolmabile. Addio caro Presidente”.
La partita fu solo un momento di calcio senza spirito agonistico, giusto per il campionato, finita con la vittoria dei pisani per due a zero.
Lo stile Viola
Oggi, a oltre trent’anni dalla sua scomparsa, molto è cambiato, forse anche troppo, proprio per la mancanza di rapporti tra tifosi e dirigenza, che aiutano a crescere e costruire.
Ricordo sempre, e lo racconto con orgoglio, il giorno in cui ho avuto la grande occasione di parlare proprio con Viola. A certe mie specifiche domande lui rispose prendendomi sottobraccio e, camminando per il vialone all’interno della tribuna Monte Mario, mi parlò come se fossi un suo dirigente di fiducia, o forse per lui uno di famiglia in virtù di quel suo vanto di riconoscerci come suoi figli, con quella voce pacata e quello strano interloquire che tutti lo definirono una specie di linguaggio tutto suo, il Violese.
In quel poco tempo insieme, non riuscii a capire se il suo fosse un parlare tanto per placare gli animi e non animare discussioni o contestazioni tra i pochi tifosi presenti che lo avevano circondato, o perché ci teneva a stare a parlare con uno della Curva, senza sapere chi ero e cosa veramente rappresentavo.
Dino Viola tra ricordo e rimpianto
A distanza di anni questo bellissimo episodio l’ho raccontato a Donna Flora Viola, lei sempre con quel meraviglioso sorriso che la distingueva mi disse che per il suo Dino quello era il modo migliore di vivere la sua squadra e i suoi tifosi, sottobraccio come un padre, senza timori e paure perché tra persone che si vogliono bene quel gesto fa parte della normalità.
Altri tempi e un’altra Roma…
In undici anni di presidenza pochi sono i trofei conquistati da Dino Viola, un campionato e quattro Coppa Italia, nonostante ciò rimane sempre e comunque un uomo, una leggenda.
Un paradosso poi quel giorno e quella data, quasi palindroma: 19.1.1991.
A ricordo dell’unico vero Presidente dell’A.S.Roma, la sua frase rimane il nostro simbolo:
“La resa è dei vigliacchi e questo è un vocabolo che io non conosco”.