Fenomenologia dello Zigolo e altre storie è una raccolta di racconti uscita in questi giorni che abbiamo letto con piacere, familiarizzando con i protagonisti, una variopinta serie di personaggi accomunati dal fatto di guidare dei mezzi d’epoca.
Uno dei più curiosi è un gigantesco montanaro che vive in simbiosi con il suo poderoso motocarro Moto Guzzi Ercole, con il quale si può dire che si identifichi completamente.
Altri usano diversi modelli di moto sempre prodotte dalla fabbrica di Mandello, come il potente V7 Sport ma anche l’umile e onesto Zigolo che dà il titolo al libro.
Poi ci sono Laverda 750 SFC, NSU Max 250, BMW 500 RS Rennsport, SWM e Mazzilli da regolarità, Lambretta Innocenti e altre ancora, perché le vere protagoniste in fondo sono proprio loro, le moto. E in certi casi sembra quasi che siano i loro proprietari, a rappresentarne un accessorio, anziché il contrario. Un aspetto apprezzabile del libro scritto da un “addetto ai lavori”, sono le testimonianze dirette sulla genesi di alcuni marchi motociclistici ormai scomparsi, attraverso le parole dei loro fondatori e dei collaboratori più stretti, svelando in più di un’occasione aspetti poco conosciuti.
110 pagine arricchite da oltre venti immagini dell’epoca spesso inedite ci introducono in un mondo di fascino motoristico senza tempo che l’autore, già ospite di Sportmemory con suoi racconti e articoli più tecnici ambientati nel mondo delle due ruote storiche, maneggia con destrezza restituendo al lettore il tratto di un’epoca che lo ha visto lavorare con le mani nel grasso, oltre che a scrivere di motori.
Tredici episodi con personaggi e avvenimenti reali che avvinghiano il lettore e non lo lasciano più uscire, contento di trovarne altre tre in appendice, tre storie motoristiche romanzate con piglio noir di cui due premiate in altrettanti concorsi letterari e uno inedito.
Alla fine il lettore è deluso solo di arrivare all’ultima pagina e di non trovarne altre da leggere.
Pregio dei racconti è il descrivere non solo i mezzi d’epoca, ma soprattutto il contesto nel quale un tempo venivano utilizzati, aprendosi così non solo agli appassionati di motori, ma anche al lettore che vuole addentrarsi in atmosfere di tempi di cui magari ha solo sentito accennare.
Scorrendo le pagine che si susseguono in modo piacevole, ora spiritoso ora più accorato, ci si rende conto di come venga suggerito con garbo e felici metafore, come sarebbe meglio usarli anche ai giorni nostri, ovvero con amore e rispetto come si conviene a dei pezzi di storia.
(Fenomenologia dello Zigolo e altre storie, F.V.Borghese, Editinprop, 100 pagine, 20 illustrazioni, Euro 25 inclusa spedizione piego libri raccomandato.
Per ordini: woodmetalgarage@libero.it )
Per gentile concessione dell’autore, pubblichiamo uno dei sedici racconti contenuti nella raccolta.
LA LAMBRETTA DI GIORDANO
Nel primo dopoguerra, in un’Italia che in molti casi ripartiva da zero, ci sono state aziende che hanno costruito la propria fortuna solamente con una piccola flotta di scooter dotati di un carrello posteriore, all’epoca eufemisticamente definito anche “stabilizzatore”.
Piccoli artigiani ma soprattutto ditte impegnate nella distribuzione di bevande o altre merci, si affidavano così al più economico tra i mezzi di trasporto, aumentandone ingegnosamente la capacità di carico.
Ricordo in particolare un’azienda di Treviglio- chiamata STAGA – le cui Lambrette come quella illustrata in questo depliant dell’epoca, risalivano lente ma inarrestabili le valli del bergamasco, trasportando pesanti cassette di bibite di loro produzione, birre e acqua minerale della quale erano concessionari di zona.
Minuscoli ma infaticabili scooter milanesi che poi, privati del rimorchietto, nel fine settimana –che allora equivaleva alla domenica, visto che il sabato per molti non solo era lavorativo, ma rappresentava anche la giornata più intensa – venivano utilizzati per le gite fuori porta dal titolare o dai dipendenti più fidati.
In quel caso, oltre alla moglie, spesso si stipavano a bordo anche uno o due bambini oppure, per quelli che una famiglia ce l’avevano ancora tra i progetti, per gite più o meno innocenti con la fidanzata.
Dopo una lunga e onorata carriera, una di queste lambrettine venne riposta nel capannone, quando a sostituirla entrarono in servizio dei più funzionali, veloci e soprattutto capienti autocarri “Lupetto” della OM.
Mentre lo scooter di Lambrate si godeva finalmente il meritato riposo, io mi facevo le ossa e integravo il magro bilancio di studentello, andando ad aiutare durante le vacanze proprio i dipendenti e uno dei titolari della STAGA. Il signor Giordano Fontana, nostro vicino nella casa di montagna, infatti provvedeva anche di persona a consegnare le bevande. Per questo fui tra i primi a sapere che aveva intenzione di rimettere in moto il vecchio scooter.
Il carrozzino purtroppo nel frattempo era andato perduto, ma una volta riattivata, la fedele Innocenti, venne adoperata per molti giri nei dintorni di una località turistica della Val Seriana. Una volta sistemati i freni e altri dettagli legati indispensabili per la sicurezza, si prestava volentieri a scarrozzare non solo i familiari, ma anche i ragazzini del vicinato, portandoci addirittura fino al mitico “Rifugio Magnolini”, nota meta di tanti fuoristradisti con mezzi ben più specializzati.
Essendo già appassionato di tutto quello che aveva due ruote e un motore, gli chiedevo spesso di guidarla in luoghi non aperti al traffico. Così, quando poi decise di disfarsi del suo vecchio scooter, dopo averla radiata per non incorrere in problemi e fidandosi della promessa di non utilizzarla su strade aperte al traffico, me la regalò.
Per via della giovanile incoscienza che avevo già dimostrato con moto da fuoristrada, della limitazione sui luoghi dove usare la povera Lambretta, con un amico appena più grandicello, iniziammo a farci dei gran salti e persino qualche mulattiera.
Purtroppo, nel giro di alcuni mesi, la meccanica e il telaio, che pure ogni giorno per una dozzina di anni avevano movimentato qualche tonnellata di merce, non ressero questo ulteriore strapazzo.
Finchè a dare problemi erano state il carburatore o altre parti, in qualche modo ci eravamo ingegnati a rimediare, con tentativi e trapianti non sempre ortodossi, ma riuscendo sempre a a farla ripartire.
Quando però un giorno si piegò vistosamente il telaio, temendo che si spezzasse del tutto, con l’amico che era con me decidemmo sciaguratamente di lasciarla sul lato di un sentiero, certi di ritrovarla nei giorni successivi, quando saremmo tornati con il trattore per recuperarla. Invece non fu così e della vittima innocente della nostra esuberanza non sapemmo più nulla.
Quella Lambretta D verdina, per noi rappresentò indubbiamente una grande scuola di meccanica, di guida e di cadute, allora molto formative per un tredicenne scatenato. Oggi quindi mi pento di averla maltrattata, per cui vorrei dedicare un commosso ricordo e delle scuse, a lei e al suo primo proprietario, che non è più con noi da parecchi anni.
Grazie mille a te, Giordano, e alla tua indimenticabile Lambretta.
Con la vostra rustica ma generosa semplicità, avete fatto davvero molto per me.