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Horacio Pagani. Il sogno della bellezza

Incontro Horacio Pagani in un pomeriggio di novembre che di autunno non vuole saperne, il cielo emiliano è pulito, il sole gentile. Entrare in Pagani significa entrare in un mondo altro. Significa dimenticare tutto quello che immaginiamo, sappiamo o pensiamo di sapere di automobili. Qui, nell'Olimpo dei motori, si maneggia arte, bellezza, memoria e futuro. Questo è il racconto di una conversazione. Di automobili, anche. Ma soprattutto sul senso della vita
Horacio Pagani

Le mani. Le mani sanno cosa fare, riflettono cuore e pensieri prima ancora che questi si svelino. E gli occhi, gli occhi possono solo inseguirle per fermarsi davanti all’opera che, se fortunati, hanno visto prendere forma. Altrimenti non rimane che lo stupore dinanzi all’opera compiuta.
Anzi, diamo il nome vero alle cose; Opera si scrive con la maiuscola, per rispetto, per devozione, per estasi di bellezza.
Con la bellezza Horacio Pagani ha confidenza intima, per dote ne possiede codici e proporzioni auree. È ancestrale la bellezza e se esiste, come credo, un disegno al tutto, in questo disegno qualcuno è destinato a raccontarla più di altri. Qualcuno, meno di pochi, anche a crearla.
Incontro Horacio Pagani in un pomeriggio di novembre che di autunno non vuole saperne, il cielo emiliano è pulito, il sole gentile.

Altrove

Nulla è convenzionale in Pagani; qui tutti maneggiano bellezza e a te, che arrivi in visita, assale la sensazione di entrare in un mondo altro, di varcare una porta alchemica, una soglia spazio temporale.
In Pagani la bellezza trova essenza di movimento e di velocità.
Per convenzione e semplicità dialettica dobbiamo dire che in Pagani si producono automobili. Hypercars, così sono universalmente note le Pagani. Già così si capisce che stiamo parlando di qualcosa in più di un meccanismo funzionale, ma credetemi, non è ancora abbastanza.
Per capire in quale mondo altro si collochi la Pagani bisogna dimenticare tutto quello che immaginiamo, sappiamo o pensiamo di sapere di automobili. Dimenticare tutto quello che significa fabbrica, catena di montaggio, produzione seriale. Il fordismo qui non ha cittadinanza e mai l’avrà.

Horacio Pagani
(Horacio Pagani. Photo credit: Archivio Pagani Automobili)

Bellezza, sogni e memoria

Con Horacio Pagani parlo di arte, di bellezza, di sogni e di memoria, valori assoluti, immateriali, sottili, preziosi.  Proprio di questo sono fatte le sue hypercars. E a questo punto dimenticate anche una mistificata idea che vorrebbe il lusso quintessenza apparente, ostentazione effimera di cartellino prezzi.
Il lusso, quello assoluto, si esprime in valori, non in valute.
Il lusso è rendere forti i vecchi sogni, così che il mondo non perda coraggio.
Ma questo lo dice Ezra Pound, non io, e tanto basti.
Le Pagani, esclusive per vocazione, sono automobili per pochi, ma fatte come sono di bellezza, sogni e memoria, intercettano il futuro e fanno sognare tutti.

Mani, cuore  e San Michele

La mia conversazione con Horacio Pagani inizia con una domanda che sgombra il campo da ogni possibile equivoco circa le mie intenzioni. Certo, parleremo anche di hypercars, ma lo faremo percorrendo pensiero laterale, mai tecnico, ma emotivo sin dove sarà possibile. Proprio come al buio è la vista laterale a guidarci, così nella nostra conversazione sarà il pensiero laterale a condurmi nel mondo di Horacio Pagani.

Cosa significa per lei l’arte gli chiedo. La domanda non solo non lo spiazza, ma in questo perimetro si trova talmente a suo agio che, se possibile, la risposta spiazza un po’ me.
La mia interpretazione dell’arte non è standard” mi dice “Per me l’arte è una parola che fa sintesi con arto, perché è l’espressione delle mani. Le mani sono guidate dalla mente che pensa, che crea, che soffre, che sente. Tutto questo arriva alle mani passando dal cuore ed è questo passaggio dal cuore che le dà un valore che non è misurabile” mi dice ancora.

La vetrata panoramica davanti a noi ci restituisce il cielo del primo tramonto. È nel profilo di questa luce che per non farmi sfuggire il concetto, Horacio lo fa diventare movimento; alza un braccio mentre l’altra mano disegna a mezza altezza la linea immaginaria che unisce mente cuore e mano. Un gesto semplice che traduce il suo senso estetico, afflato di cui evidentemente l’uomo non può fare a meno.
Gesto semplice che mi richiama a mente la linea di San Michele, quella che dall’Irlanda, da Skelling Michael, taglia in diagonale il mondo antico sino al Monastero del Monte Carmelo di Gerusalemme.
Suggestioni personali di cui non posso fare a meno io.

Manuel Fangio con famiglia Pagani
(Horacio Pagani con la famiglia e Manuel Fangio. Photo credit: Archivio Pagani Automobili)

Junger, Leonardo e Saint-Ex

Insisto. Cito Ernest Junger quando scrive che profondo è l’odio che l’animo volgare nutre nei confronti della bellezza e gli chiedo, per lui che la maneggia e la traduce, cosa sia la bellezza.
Per rimanere in paragone tennistico – sport che gli è caro e nel quale da giovane era entrato in classifica nazionale – Horacio mi risponde con un dritto lungolinea e al mio Junger replica con il suo Leonardo da Vinci.
A molti sarà capitato, in un qualche periodo della vita, di avere un amico immaginario. Ebbene l’amico immaginario di Horacio Pagani è proprio lui, Leonardo da Vinci. Incontrato per caso quando da bambino leggeva le riviste di Selezione del Reader’s Digest, rimasto affascinato dalla suggestione che arte e scienza possano parlare la stessa lingua, Leonardo dalla vita di Horacio non è mai più uscito. Con grande serenità, Horacio mi dice che con lui parla ogni giorno. Non vi sembri strano. Saint-Exupéry, lo scrittore aviatore che dal suo aereo non è mai più sceso, Saint-Ex per gli amici, non ce lo ha forse detto in tutti i modi che l’essenziale è invisibile agli occhi?

Eccola la bellezza di Horacio Pagani

Quando stavamo lavorando alla Huayra-R, una macchina pensata per la pista, con sue esigenze tecniche specifiche che la dovevano rendere una macchina performante e sicura, io non ero soddisfatto. La vedevo non bella, però era aerodinamica, quindi per la pista funzionava, andava benissimo. Ho detto, no. Dobbiamo cercare di farla bella e anche aerodinamica. Ci siamo riusciti. Con impegno, alla fine la macchina è diventata bella come me la immaginavo e molto più aerodinamica di prima. Questo significa che la bellezza e la tecnica, la scienza, si possono incontrare. Quando accade il mondo diventa migliore.

Ora di passi indietro facciamone un paio.

Siamo a metà degli anni sessanta. Il mondo è in movimento, ma forse a Casilda, 400 chilometri da Santa Fe, Argentina, non se ne curano poi tanto.
Di certo non se ne cura un ragazzino di 12 anni che nella sua cameretta piena di riviste, libri e piccoli attrezzi sogna in grande.
Il ragazzino ha una vita serena, una famiglia serena, un padre che esce di casa quando dorme perché in qualunque posto del mondo il pane si fa quando gli altri dormono, una madre che ama la casa, cura le piante, suona il piano e a cui piace vestire i figli anche con quello che cuce lei. Il ragazzino ha un fratello e una sorella. In casa si cresce così, tra amore, scuola e sogni.
Il ragazzino monta e smonta tutto quello che gli capita a mano, disegna anche, e quando rimonta le cose che ha smontato spesso tenta di dargli un ordine nuovo, tutto suo, forse già più bello di prima.
Con i piccoli attrezzi il ragazzino trova un equilibrio personale, intaglia e leviga. La balsa è leggera, malleabile. Io la ricordo bene perché mio padre coltivava il modellismo navale e a balsa e listelli da curvare son cresciuto anche io. Lì mi sono fermato però.

Modellini di Pagani da bambino
(I modellini in balsa. Photo credit: Archivio Pagani Automobili)

Nella cameretta del ragazzino di Casilda, invece, accade altro; lui divora riviste, Automundo è la sua finestra sul futuro, gli fa assaporare la vita che si sente dentro. Non si trattiene. Ha le mani veloci il ragazzino. Lo abbiamo detto all’inizio: le mani sanno cosa fare. Le sue soprattutto.
Il primo modellino in balsa lo completa che aveva 12 anni. È bello, ne fa altri e ha le idee chiare. Agli amici che lo vengono a trovare dice “questo lo esporrò a Torino, questo invece a Ginevra”. Oggi quei modellini sono esposti nel suo museo personale.
Il ragazzino ovviamente era Horacio Pagani e lui, con le mani, non ha mai smesso di lavorare.

Mani e parole

Le cose che si fanno qui dentro le so fare con le mie mani. Tutte. Proprio come mio padre che faceva il pane. Proprio come mia madre che lavorava a maglia e tagliava e cuciva vestiti per noi. Bisogna imparare a fare le cose con le mani, bisogna diventare amici dei materiali. Bisogna parlargli. Qualche tempo fa uno dei miei ragazzi – (sia chiaro in una non fabbrica non ci sono operai, ma persone. NdA) – aveva un problema con uno stampo. Io gli ho detto parlagli, chiedi a lui. Lo ha fatto. Dopo un po’è tornato da me per dirmi che il problema era risolto”.
Mi dice questo e gli brillano gli occhi come se mi stesse svelando il segreto della pietra filosofale e io gli credo mentre tra me sorrido e penso allo Shinto e ai suoi oggetti con anima, la perfezione sacra del Giappone così lontana da noi, ma che riverbera sottotraccia in questo fazzoletto di Emilia.

Dai modellini in balsa ai motori è stato un lampo

Tutti abbiamo avuto un amico che a 15 anni truccava la Vespa; carburatore, marmitta a spillo e via, il 50 special diventava come minimo un 75, freni precari, ma sempre su una ruota a sfidare il mondo. Hombre vertical prima del tempo.
Horacio, ovviamente, fa di più. Lui il mondo lo sfida con le mani. Lui costruisce. All’inizio doveva essere un go-kart da condividere con un amico, ma loro sono in due, molto meglio fare due mini moto. Segno del destino, ma già quelli, anche se per puro caso, sono gommati Pirelli.
Non me l’ha detto, ma a me piace pensare che anche Horacio, come è capitato a tutti noi baby boomer, si sia sentito grande per la prima volta proprio facendo il suo primo giro in motorino.

Minimoto Pagani
(La minimoto. Photo credit: Archivio Pagani Automobili)

Studia Horacio. Incredibilmente sotto le spoglie del creatore di bellezza si nascondono studi da ragioniere. “Uno studio utile”, mi dice, “buono per imparare una certa disciplina dei numeri e dei conti, cosa che nella vita serve a tutti”. Studia ancora, si iscrive a ingegneria, ma non abbandona il pallino del fare al punto che lo studio diventa stretto, troppo spazio serviva al suo sguardo per rimanere a lungo sui libri.  Lascia, segue la sua passione, disegna, costruisce, armeggia, progetta, sogna.
Le lauree honoris causa arriveranno dopo qualche anno e saranno due.

Dalla Formula 2 a Modena

Tappa importante del percorso di Horacio è la progettazione della Formula 2 Pagani-Renault. In questo periodo conosce Oreste Berta, il più importante progettista argentino di motori; molto più grande di lui, lo prende a ben volere, diventano amici come accade tra persone che si riconoscono.
Oreste Berta lo presenta a Manuel Fangio e anche l’asso che fino a qualche anno prima era il re di strade e circuiti lo prende a ben volere e lo aiuta.
Horacio sapeva dove voleva andare. Lo sapeva da sempre, da quando poco più che bambino diceva alla mamma “io un giorno andrò a Modena”.
È quello il mondo che sente suo: Ferrari, Maserati, Lamborghini.
L’Olimpo dei motori.
Fangio a quel ragazzo ci crede; scrive, lo raccomanda fortemente e alla fine Horacio a Modena ci arriva sul serio.È il 1982 quando inizia a lavorare in Lamborghini.
Il genius loci lo aspettava, Horacio si ricongiunge al suo destino.
Da quel momento la terra dei motori diventa la sua terra.

Zonda e Formula 2 Pagani-Renault
(La Zonda, Horacio Pagani e la Formula 2 Pagani-Renault. Photo credit: Archivio Pagani Automobili)

Promesse da mantenere

Nella sede storica della Pagani c’è una grande foto di Fangio. Ogni volta che Horacio ci passa davanti, gli sguardi dei due si incrociano e lui, Horacio, rinnova la sua promessa e lo rassicura dicendogli “sto facendo del mio meglio per meritarmi la tua raccomandazione”.
Consapevole o meno, è il rito della devozione che si ripete nel tempo, ringraziamento a Lari e Penati che proteggono e tengono in mano le sorti di casa e famiglia.

La bellezza come ricerca

Oggi la Pagani è un atelier della bellezza, un’azienda innovativa che investe costantemente in ricerca per migliorare materiali, dinamica ed estetica delle sue automobili. Horacio è riuscito a fare quello che aveva annunciato all’ingegner Alfieri della Lamborghini quando fu assunto: “Io sono qui per fare l’auto più bella del mondo” gli disse e non ne ha fatta una sola.
Tre i modelli Pagani con diverse varianti ognuno.
Zonda nel 1999, Huayra nel 2011 e Utopia nel 2022 sono sogni iscritti d’ufficio nella storia delle automobili.

Pagani Zonda
(1999 Pagani Zonda. Photo credit: Archivio Pagani Automobili)

Le persone come valore

Oggi la Pagani è soprattutto una comunità umana laboriosa e creativa, la produzione delle automobili è artigianale in senso strettamente romantico. Il ciclo produttivo si dipana non in una fabbrica, ma in un luogo conviviale che richiama il profilo etico – si badi, etico – della piazza di un borgo. Una piazza sulla quale si affacciano botteghe aperte, dove ingegneri, designer, meccanici e tecnici si scambiano idee e parlano della vita. Una piazza illuminata da lampioni di foggia antica e dove, nella migliore tradizione dell’impianto umanistico di un borgo, c’è una vera torre campanaria.
Ecco vi basti dire che alla Pagani il tempo del lavoro non è segnato dall’urlo strozzato delle sirene di fabbrica, ma dal tocco di campane che non battono il tempo e basta, ma al tempo restituiscono senso e pienezza.
C’è di che prendere esempio.

Incontri con uomini straordinari

Nessuno nasce imparato. Dicevano così una volta. Saggezza popolare che nella sua semplicità non nasconde nulla. Anche Horacio ha avuto esempi e incontrato uomini straordinari.
Del suo amico immaginario Leonardo da Vinci inutile dire.
Di Oreste Berta e Manuel Fangio abbiamo accennato, ma ce ne sono altri.
Almeno altri due, agli antipodi di una vita e della vita.

Pagani Huayra
(2011 Pagani Huayra. Photo credit: Archivio Pagani Automobili)

La dignità svelata

Quando lavorava in Lamborghini, Horacio sapeva cosa voleva, sapeva che avrebbe dato tutto sé stesso per inseguire il suo sogno, ma non poteva sapere come sarebbe andata a finire.
In quei giorni, ogni santo giorno di domineddio, Horacio in Lamborghini incontrava un signore che al tempo gli sembrava grande, cinquantacinque, forse sessant’anni. Distinto, elegante nel suo camice da lavoro sotto il quale si vedeva spuntare il colletto mai stropicciato di una camicia chiusa dal nodo perfetto di una cravatta. Il signore faceva il suo lavoro con dignità estrema, con precisione, con passione se possiamo dire. Nella vita aveva fatto il tornitore, a piccoli passi aveva aperto un’azienda meccanica e assunto altri abili di mano come era lui al tempo. Tutto sembrava andare per il meglio, poi la crisi. Il signore non ce la fa ad andare avanti, vende tutto quello che può vendere perché lui, il signore, i debiti li paga e i dipendenti licenziati anche.
La Lamborghini lo assume. Il vecchio tornitore diventa addetto alle pulizie di reparto. Puliva in terra e ovunque ce ne fosse bisogno. Con dignità, lui faceva il suo lavoro come se fosse stato il più importante del mondo, o perlomeno della fabbrica. Dignità non è solo una parola, è uno spirito guida.
Horacio di quel signore ne parla ancora, lo porta come esempio e lo ricorda con grande affetto.

Dialoghi del cuore

Poi, agli antipodi della vita, la sua grande ammirazione per Carlo Riva, maestro del design italiano, artefice primo del successo di una casa sinonimo di eccellenza nautica italiana. Gioielli come il Tritone, l’Ariston o l’Aquarama sono di bellezza autentica e senza compromessi. Troppo simili di stile e filosofia, forte è stata l’ispirazione che Horacio Pagani ha trovato in Carlo Riva. Troppo simili i due per non doversi incontrare e diventare anche amici. Carlo Riva è andato avanti nel 2017, aveva 95 anni.
Non fatico a pensare che nei suoi immaginari dialoghi del cuore, Horacio oltre che con Leonardo e Fangio, non abbia mai smesso di parlare anche con lui.

Pagani Utopia
(2022 Pagani Utopia. Photo credit: Archivio Pagani Automobili)

Difficile dire di cosa siano fatti i sogni

T.E. Lawrence, l’uomo dei segreti, delle avventure e della saggezza, ci avverte che “…tutti gli uomini sognano. Non però allo stesso modo. Quelli che sognano di notte nei polverosi recessi della mente si svegliano al mattino per scoprire che il sogno è vano. Ma quelli che sognano di giorno sono uomini pericolosi, giacché ad essi è dato vivere i sogni ad occhi aperti e far sì che essi si avverino”.
Se chiedete a Horacio Pagani, lui che di sogni se ne intende e ne costruisce, vi dirà che i sogni sono fatti di passioni, di coraggio e di dignità e vi dirà che questo è il segreto per fare le automobili più belle del mondo.
Quello che vi rimarrà dentro, però, è che questo è il segreto della vita.

Marco Panella, (Roma 1963) giornalista, direttore editoriale di Sportmemory, curatore di mostre e festival culturali, esperto di heritage communication. Ha pubblicato "Il Cibo Immaginario. Pubblicità e immagini dell'Italia a tavola"(Artix 2015), "Pranzo di famiglia. Una storia italiana" (Artix 2016), "Fantascienza. 1950-1970 L'iconografia degli anni d'oro" (Artix 2016) il thriller nero "Tutto in una notte" (Robin 2019) e la raccolta di racconti "Di sport e di storie" (Sportmemory Edizioni 2021)

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