Search
Close this search box.

Motor Maids of America. Non chiamatele “signorine”

Negli anni ’30 dal sogno di Dot Robinson e Linda Dugeau nascono le” Motor Maids of America”, primo gruppo al femminile di bikers che, tra gare di resistenza, lettere al fronte e guanti bianchi lasciano il segno nel motociclismo e nella storia dell’emancipazione femminile.
Dot Robinson

Il mondo di Dot Goulding è fatto di asfalto, motori e benzina.
Dot, nata Dorothy, diventa una motociclista ancor prima di nascere; è a bordo del sidecar del futuro padre, James, che sua madre arriva velocemente in ospedale per darla alla luce ed è sempre così che tutta la nuova famiglia tornerà a casa.
James Goulding produce sidecar, è un pilota amatoriale ed è estremamente contento che la figlia cresca circondata da motociclette di ogni tipo.
Nel 1918 i Goulding emigrano dalle lunghe strade rosse di terra dell’Australia verso l’America, precisamente a Saginaw nel Michigan, mossi dal desiderio di James di espandere il business di famiglia.
È proprio lavorando alla concessionaria di famiglia che Dot conosce Earl Robinson, ragazzo di belle speranze che compra in continuazione pezzi di ricambio per la sua moto. Earl è un motociclista, ma con ogni probabilità è più interessato alla ragazza che lavora dietro al bancone.  Il metodo funziona; nel 1931, a soli diciotto anni, Dot diventa la signora Robinson, con le moto avrà a che fare per tutta la vita, ma delle Motor Maids of America ancora non può immaginare nulla.

Dot ed Earl Robinson
(Dot ed Earl Robinson)

Dot ed Earl tra vita e gare

Inizia così un periodo pieno di gare e corse di resistenza (endurance runs) in giro per l’America e Dot Robinson, dall’alto del suo metro e cinquantasette di altezza, si diverte un mondo.
Già nel 1930 aveva vinto il suo primo trofeo nella Flint 100 Endurance Race, ma negli anni successivi ne colleziona molti altri.
Nel 1935 lei ed Earl stabiliscono diversi record per attraversate coast to coast su sidecar; il primo li vede correre da Los Angeles a New York in sole 89 ore e 58 minuti, dopo che Earl aveva appena stabilito il record da solista di 77 ore e 53 minuti.

Dot in solitaria

Dot Robinson, in solitaria, gareggia nella massacrante Jack Pine Enduro per ben due volte: nel 1937, quando meno della metà dei partecipanti arriva alla linea del traguardo, e nel 1940, quando il trofeo di metallo laminato è finalmente suo.
Gareggiare insieme ad Earl non le risparmia comunque dover combattere per ottenere il suo posto alla partenza.
Dopo aver vinto la Michigan State Championship e l’Ohio State, Dot decide di puntare alla National Endurance Run.
Unica donna in un mare di uomini, si presenta per iscriversi ma il direttore di gara si “prende la libertà” di rifiutargliela.
Dot Robinson non ci sta; s
uo padre le diceva sempre “ain’t raised no quitter” (non ho cresciuto nessuno che si arrende), ora è il caso di dimostrarlo.
Raccoglie centinaia di firme a favore della sua iscrizione, chiede un incontro con il direttore, lui glielo nega, ma lei non si perde d’animo; mette i fogli firmati in una scatola, se ne infischia della segretaria che le urla che non può passare e va dritta a rovesciarglieli sulla scrivania.
In seguito lui le rivelerà che “Nobody ever raised that much hell over the country” (nessuno aveva suscitato un putiferio così grande in tutto il Paese). Probabile che Dot abbia riso di questo.

(Dot Robinson. Photo credit: American Motorcycles Association)

A Dot, ora, la missione della sua vita è chiara

Sarà lei a spianare la strada alla partecipazione femminile alle gare e lo farà anche nel modo più elegante possibile. Basta osservare le diverse foto che la ritraggono vicino ad Earl nel loro sidecar, per notare che la biker è sempre pronta a favore di camera, avvolta in abiti eleganti e con un trucco grazioso a segnarle i tratti delicati.
Il leggendario concessionario Hap di Sarasota, Florida, racconta come durante un’endurance race abbia “inseguito quella donna per due giorni fra fango e alberi senza mai raggiungerla”. Soprattutto, però, alla fine della gara quando tutti i piloti erano a festeggiare in uno dei bar locali, Dot comparve all’ingresso del locale come se invece di ore e ore di strada avesse semplicemente fatto una passeggiata armata di tubino nero e cappello all’ultima moda.
Essere rider richiede una certa eleganza.

Una lady

Per gareggiare, però, non basta sapersi muovere bene sulla pista e fra gli avversari, essere una lady richiede anche una fermezza mentale non da poco.
Dal 1955 al 1962, Earl e Dot continuano a gareggiare in 24 hours marathons dove i partecipanti possono fermarsi solo per il carburante e brevi pause di pochi minuti. La strategia dei Robinson (forse più di Dot che di Earl) è drasticamente semplice: dormire le prime otto ore di gara per lasciare che gli altri si stanchino prima per poi saltare in sella e guidare le restanti sedici senza interruzione fino alla vittoria.

Sweets for My Sweet           

Nel frattempo, Dot ed Earl aprono una concessionaria Harley-Davidson a Detroit, lei cura i conti, ma dalla sella della sua moto non solo non scende mai, ma vuole rendere evidente a tutti che lei è una pilota donna.
Negli anni 50 fa confezionare la sua prima attrezzatura da gara in pelle rosa e dello stesso colore fa dipingere la sua moto: non solo vuole rendere evidente il suo essere donna in pista, ma vuole anche rispondere alle critiche che i motociclisti in pelle nera stavano ricevendo in quel periodo da parte della stampa.  
Lei ed Earl sono nonni quando, nel 1971, vendono la concessionaria e si ritirano. Davanti a loro, però, hanno ancora venticinque anni di guida. Earl sarà il primo a lasciare il passo alla vecchiaia che avanza, barattando il suo posto di guida per quello di passeggero nel sidecar di Dot, prima di lasciarla per sempre nel 1996.
La First Lady of Motorcycling  però continua, sempre elegante e sempre in rosa, a uscire in moto fino a quando, a 87 anni, si spegne e raggiunge Earl a percorrere nuove e sconfinate strade.

Linda Dugeau

Torniamo però indietro nel tempo,  al 1913 quando, nella deliziosa Cape Cod, Massachussets, nasce Linda Dugeau, secondo tassello importante per questa storia di donne e motori.
Linda impara a guidare per amore: a diciannove anni sale per la prima volta in sella a una moto sotto indicazione del suo fidanzato (poi marito) Bud che la inizia al culto delle Harley-Davidson.

Linda Dugeau
(Linda Dugeau)

È solo l’inizio della seconda storia d’amore più importante della ragazza: dopo essersi laureata al Wessley College, Linda inizia a lavorare a Boston dove fa la pendolare per le strette strade della città a bordo della due ruote del ragazzo.
Negli anni ’30, poche donne (compresa Dot) guidavano motociclette e Linda inizia un fitto rapporto epistolare con altre appassionate di cui aveva sentito parlare sui giornali. Tra queste vi è Carol DuPont la quale ha il merito di parlare per la prima volta a Linda del Ninety-Nine Club, organizzazione americana di donne appassionate di aviazione la cui prima presidente non è stata Amelia Earhart in persona.

Dot e Linda

Per Linda è come un fulmine a ciel sereno: ora le è chiaro che debba esistere qualcosa di simile anche per le motocicliste, non più destinate a relegare la loro passione a carteggi, ma pronte a incontrarsi per vivere esperienze e scambiarsi idee.
Linda inizia così a occuparsene a tempo pieno, paga inserzioni pubblicitarie sui giornali, partecipa a conferenze ed eventi e fa tutto quello che può essere utile per far passare un messaggio inequivocabile: sappiamo che voi donne in sella a moto di ogni genere esistete, Valchirie moderne vi stiamo cercando.
Gli sforzi di Linda Dugeau sembrano andare nella direzione giusta: alla Laconia National Race, incontra Dot Robinson; è così che i primi due (non ufficiali) membri delle Motor Maids diventano amiche. Insieme, nel 1938, iniziano una lunga ricerca in lungo e largo per l’America.

(Motor Maids of America, 1964)

Le Motor Maids of America

Linda Dugeau e Dot Robinson impiegano tre anni per trovare 50 donne pilota proprietarie di moto, ma alla fine ce la fanno.
Nel 1940, con Dot presidente, carica che manterrà fino al 1965, e Linda segretario, viene fondato il gruppo Motor Maids of America che l’anno seguente sarà riconosciuto anche dall’American Motorcyclist Association.
I requisiti d’iscrizione sono semplici: possedere e saper guidare una propria motocicletta, evento che la stessa Linda nel 1939 descriveva così: “Dopo essermi esercitata per un paio di pomeriggi nel parcheggio dietro casa, sono andata a prendere la patente e poi… la vita è iniziata!”.
Nel primo decennio di vita la notorietà del club aumenta esponenzialmente; le Motor Maids of America, con i loro immancabili e iconici guanti bianchi, sono spesso invitate a sfilare prima di numerose gare ufficiali.
I giornali si occupano di loro, pubblicano foto e articoli, ne raccontano storie e spesso sono le stesse motocicliste a scriverne.
Sono anche anni di guerra, però. Le Motor Maids of America sono mogli e sorelle dei ragazzi al fronte, ma anche madrine di guerra e scrivono a ragazzi che non hanno mai conosciuto per fargli sentire l’affetto di chi è rimasto a casa. Non raramente, poi, lavorano come spedizionieri e corrieri mettendo i loro mezzi a disposizione della Nazione, cosa che nel 1916 le sorelle Van Buren avevano reclamato senza successo.

Take a walk on the wild side

In questi anni Dot Robinson diventa il volto di copertina del gruppo mentre Linda continua a rimanere lontano dai riflettori fino a quando, nel 1947, lascia la sua posizione ufficiale continuando però a guidare e a partecipare a raduni di appassionati.
Linda Dugeau ama soprattutto la libertà che le due ruote le consentono e continua a viaggiare in lungo e largo per l’America: un’estate compie un viaggio di 3500 miglia in due settimane, visitando anche la fabbrica delle Harley Davidson come ospite ufficiale di Bill Davidson in persona.
Pur non essendo più il segretario del gruppo, Linda continua a curare la newsletter delle Motor Maids of America fino al 1951.
Quando si trasferisce a Los Angeles lavora come corriere e, sempre in sella a una Harley-Davidson rossa, si farà notare con giacca e sciarpa dello stesso colore sfavillante.
Linda smette di cavalcare nel 1985, a settantadue anni, a causa di una frattura al polso e morirà nel 2000 a pochi mesi di distanza dalla sua amica.

MOTOR MAIDS OF AMERICA LIPSTICK
(Motor Maids of America)

Nel segno di Dot e Linda

Le Motor Maids of America oggi sono in circa 1300, sono uno dei gruppi più attivi nel panorama nord americano e sono sempre  fedeli al principio di rispetto per gli altri e per noi stesse che aveva animato le pioniere  Dot e Linda quasi ottanta anni fa.
La storia di Dot Robinson, Linda Dugeau e delle Motor Maids of America è il racconto di una verità assoluta, negli anni ’30 non del tutto scontata:  il nostro posto, come donne, è qui perché è semplicemente giusto sia così.
Per affermare questa verità assoluta non è necessario far girare troppo forte i motori (gli uomini lo hanno fatto prima di noi e non sempre è servito a tanto), né modificare gli aspetti prettamente femminili.
Quello che importa è semplicemente andare oltre le etichette di cosa può essere o meno uno sport da donne.
Siamo noi, così come Linda e Dot, a decidere cosa e quando fare.
Con o senza rossetto.  

 

Giulia Colasante si affaccia al mondo nell'ultimo anno del secolo scorso, in tempo per sentirne raccontare in diretta, abbastanza per rimanerne incuriosita. Laureata in Filosofia all'Università di Roma Tre, per tentare di capire il futuro che l'attende studia Scienze Cognitive della Comunicazione e dell'Azione. Che attende lei, ma anche un po' tutti gli altri.

ARTICOLI CORRELATI



La nostra newsletter
Chiudi