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Jimmyleg. Una storia vera

0) COVER Jimmileg - credit randy tarampi

 Dottore, lei è un medico, ha 44 anni… io non posso permettere che un collega, della sua età poi, nella mia struttura…

A parlare era il direttore sanitario di una struttura ospedaliera interamente dedicata alla neuro riabilitazione di alta specialità, una delle più quotate d’Italia. Mi aveva convocato per esprimere tutto il suo disappunto sulla mia condotta non come medico, ma come paziente in ricovero da un mese. Accanto a me era seduto Valerio con un sorriso che esprimeva contemporaneamente orgoglio ed attesa di sviluppi.

Continuò dicendo: “Posso capire Valerio, ha 22 anni… ma lei, lei, stento a crederci, buttarsi con la sedia a rotelle giù per la rampa dei parcheggi a mezzanotte, sghignazzando, in gara con un altro politraumatizzato. Lei e Valerio fate le gare nei corridoi mentre gli altri pazienti dormono, impennate e fate altre acrobazie. Sappia che questo è un ultimatum.”

Risposi con scarso senso della dignità che non l’avrei più fatto e che forse parte della responsabilità era attribuibile alla terapia farmacologica. In realtà continuammo con più attenzione a non disturbare e questo a loro bastò.

Io ero ricoverato perché a causa di un incidente motociclistico avevano dovuto buttare via un pezzo e sistemare il resto del mio corpo alla meno peggio, il mio compagno di merende invece, anche lui ospite in conseguenza di un evento simile al mio, era stato completamente riassemblato.

Assurdo, lo so, ma ripenso quel periodo con piacere, imparare a camminare di nuovo con una protesi mi ricordava molto l’imparare a sciare: se metto il busto avanti succede questo, se lo metto indietro invece? E se faccio un altro movimento?
Una sera si intrufola un mio amico storico, Carmine, e facciamo una passeggiata per i corridoi, la prima della mia seconda vita, abbiamo pianto perché in quel momento ho vinto i mondiali.
Non li avrei vinti senza la mia famiglia e gli amici ma questo è un altro tema.
Dovrei parlare di sport? Già lo sto facendo, questo è per me! Non subire emotivamente la riabilitazione perché si può gareggiare con la sedia a rotelle, camminare perché si impara ad usare uno strumento come fosse uno sci e prepararsi fisicamente e spiritualmente finché non si raggiunge il risultato.
Può essere uno strumento o un fine ma i requisiti rimangono identici.

Carattere, coraggio, personalità, lealtà, mentre penso a cosa scrivere scorre in tv l’immagine di un famoso giornalista, che detesto e quindi non nomino, e menziona questi come elementi forgianti per gli individui e che si acquisiscono praticando sport. Condivido al 100%.
Lealtà mannaggia, il giornalista è Giampiero Mughini.
Quindi di per sé lo sport ha delle sue caratteristiche e dei suoi requisiti oggettivi tali da poter essere trasferiti a noi mentre noi individualmente lo interiorizziamo secondo i nostri profondi bisogni.

Questo è il mio personalissimo concetto di sport, la mia vittoria è raggiungere il risultato che mi sono preposto, non battere qualcuno. Faccio degli esempi della mia straordinaria carriera sportiva con i grandi traguardi raggiunti:

1) Byron Bay (Australia): notte in un pub, dei ragazzi si avvicinano e chiedono se siamo noi “gli italiani”, rispondiamo di sì e ci offrono della birra. Eravamo famosi perché durante la prima lezione di surf della mia vita, alla prima onda, sono uscito e l’ho cavalcata fino a riva.

2) Luca, maestro di sci di Cervinia rivolgendosi a me e Danilo una sera, in un pub, (dimenticavo, in Australia Danilo aveva preso la seconda onda) ci dice che non ha più nulla da poterci insegnare, se vogliamo di più si parla di allenatori.

3) Nel terzo pub, uno snowboarder professionista, “ingarellato” con me in quanto romano, mi invita a vedere il giorno dopo la sua traccia su un famoso canalone fuori pista, domando: “Ma non c’era già la traccia di uno sciatore?” Mi risponde di sì.
Replico: “è ‘a mia”.

4) Basta pub, ma tra Niki Lauda e James Hunt preferisco il secondo.

Da 12 anni non pratico sport perché sento che sarebbe la brutta copia di quello che ho già fatto, sono l’esatto opposto di Zanardi. Le sfaccettature di come sentiamo e viviamo lo sport sono infinite, individuali e profondamente intime.

La mia canzone è un giorno credi di Bennato. L’unica differenza, relativa, è che lui parla alla fine di falso incidente mentre il mio è vero. Lui usa il falso incidente come alibi, io uso come alibi l’incidente vero, il risultato non cambia. Mi dico sempre che non sarebbe divertente scivolare giù per la montagna alla meno peggio. Non sono uno sportivo manco per niente, o forse lo sono al 100%. Non provo alcun piacere a vincere, neanche a partecipare però, il mio unico obiettivo è sempre stato divertirmi… la nuova domanda a questo punto è, chi è il vero sportivo, quello che si impegna sempre per ottenere un risultato? Quello che partecipa solo ad onor di gloria? Chi ha una passione e la porta avanti per il semplice piacere di godere dello sport in sé e per sé? Chi dopo l’attività fisica, magari correndo per un’ora (noia infinita n.d.r.) ottiene la sua dose di endorfine (la migliore tra le droghe)? Forse sono sportivi tutti, le differenze sono nell’individuo e non nello sport. Quando qualcuno mi disse che lo sport ed il sesso sono sopravvalutati, citando non ricordo chi, non risposi ma pensai che forse non aveva avuto la fortuna di provare quello giusto.
Ma adesso arriviamo al punto, quello centrale, il sentire lo sport, più personale non si può.
La prendo un pochettino alla larga ma vedrai che riuscirò a dirti cosa è per me. Quando ero più giovane non riuscivo a capacitarmi di che senso potesse avere l’arte astratta, potevo capire un dipinto o una scultura di Michelangelo, vedevo qualcosa, diceva qualcosa, da lì poi arrivavo ad una sensazione, ma l’arte astratta… boh. Poi un giorno vidi i tagli su tela di Lucio Fontana. Boom, tutto cancellato, tutto riconsiderato, direttamente l’emozione dai “Tagli” a dentro di me, mi sono sentito, come direbbe mia moglie, particella dell’immenso, dal guardare (senza neanche bisogno di vedere) all’emozione pura.

Così è stato per me lo sci, prima sentivo la lamina che grattava sul ghiaccio, sentivo la spatola che scivolava su della neve un po’ più morbida, tante sensazioni, l’anca messa bene a posto all’interno della curva, le braccia dove dovevano stare, presa di spigolo, liberare lo spigolo e tutte quelle belle cose… ma poi arriva un giorno, IL GIORNO, non senti altro che il tuo centro, più o meno all’altezza del cuore, poco più in basso, che viaggia nello spazio. Tutte le parti del tuo corpo al di sopra e al di sotto non fanno altro che seguire quel centro, sembra quasi che si muova linearmente nello spazio e sia tutto il resto a seguirlo.
Ovviamente sappiamo che non è così, quel centro si trova lì e riesce a viaggiare in quel modo perché il tuo corpo sta facendo tutto quello che deve fare ma la sensazione è quella e da quel momento cambia tutto.

Un grazie infinito a chi mi ha chiesto di scrivere queste quattro righe, fino ad oggi non avevo capito che non ero schiavo del divertimento ma lo ero dell’emozione.
Cosa può darti tanto? L’arte, l’amore, lo sport e le sostanze psicoattive ma a questo punto stiamo barando, la droga è il doping dell’emozione. Per tanto tempo mi sono sentito “pilota” ed invece ero uno stuntman, non era la curva veloce il mio obiettivo ma la “virgola” sull’asfalto di una derapata controllata, poi penso a Stoner e depenno anche la seconda voce.

Consentitemi l’ultimo delirio, se noi inventassimo uno sport in cui parte di questo stesso fosse aggirare le regole, allora noi non proveremmo per questo tipo di attività nessun interesse, perché? Perché lo facciamo nella vita di tutti giorni.
Sintesi: lo sport è un principio, di più, un ideale.

Luigi Cottone nasce a Trapani nel '65 e vive a Roma dal '68. Appassionato di sport, ne ha praticati vari, dallo sci al karate, dal calcio all'atletica leggera. Laureatosi prima in medicina e chirurgia, successivamente in odontoiatria, svolge la libera professione nel suo studio.

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